L’onda rivoluzionaria in Africa



L’inevitabile passo storico che nel cammino evolutivo delle collettività umane rifiuta la dittatura e chiede democrazia e giustizia sociale è in corso di realizzazione in Africa e Medio Oriente.

Le domande che si pongono, per noi che siamo oltre: l’evento costituisce un problema, gravido di rischi, oppure un fatto positivo, occasione da cogliere? Dobbiamo stare a guardare o intervenire?

A mio avviso le risposte cambiano, secondo che lo sguardo della valutazione sia corto o lungo.

E’ invitabile infatti che nell’immediato si verifichino una serie di conseguenze negative: nostri cittadini che devono rimpatriare, nostre imprese che devono chiudere, affari e accordi che saltano,  petrolio che rincara, turismo da sospendere, immigrazione che aumenta ecc….

Ma è anche vero che intanto dovremmo partecipare con commozione e gioia all’evoluzione di nostri fratelli da una condizione di schiavitù, violenza e sfruttamento verso una speranza di libertà e democrazia. Inoltre dovremmo prospettarci, alla fine dell’iniziale turbolenza, Paesi più vicini a noi, non solo per le strutture istituzionali democratiche, ma anche per il miglioramento del momento distributivo, il quale potrà consentire la partecipazione più estesa della popolazione alla produzione, al reddito, alla cura della salute, alla crescita della cultura.

Avremo, in sintesi, Paesi i cui cittadini non avranno più bisogno di emigrare per sopravvivere o sfuggire alla violenza del dittatore, anzi si verificherebbe un rientro di parte degli emigrati; Paesi più disponibili a inserirsi nella globalizzazione e nel mercato mondiale con rapporti più coordinati all’interesse della convivenza globale piuttosto che funzionali allo sfruttamento di ricchezze naturali nell’interesse esclusivo dei dittatori e dei proprietari delle imprese multinazionali; Paesi certamente più sensibili all’esigenza di salvare la natura e quindi più disponibili a preservare le ricchezze naturali e dare alla loro crescita economica un indirizzo ecosostenibile.

Dunque, guardando gli eventi nella loro proiezione evolutiva la risposta alle domande poste è nel senso che essi dovrebbero costituire un motivo di sintonia commossa ed essere valutati come opportunità offerta di intervenire in aiuto, per favorire che prenda consistenza e sviluppo quanto oggi costituisce la domanda-pretesa di quella gente in rivolta: libertà, democrazia, partecipazione alla produzione, al reddito, alla cultura, alla vita sociale e alle sue determinazioni interne e verso la collettività globale. E, diciamolo pure, anche come opportunità di verificare quanto da noi quella domanda-pretesa sia soddisfatta e, visto che tale soddisfazione è molto meno reale di quanto appare, come occasione per progredire, anche noi, sulla strada del mondo migliore.

Limitarsi a vedere solo il “disturbo” iniziale che ci deriva da questi eventi o indicare come motivo di grave pericolo e preoccupazione l’eventualità che nella ristrutturazione istituzionale prevalga la componente politica islamica significa non guardare avanti e creare le premesse di rapporti ostili, mentre anche sotto l’aspetto dei rapporti con l’islam deve intravedersi l’occasione, favorevole data l’istanza di libertà e democrazia della popolazione, di ottenere che la diversità di credo religioso prevalente venga reciprocamente rispettata e non si ponga di ostacolo alla creazione di normali e costruttivi rapporti internazionali. Utile, ciò, anche a sminuire l’allarmante ostilità in atto con altri Paesi a prevalente guida islamica.

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