La ricorrenza dell’unità d’Italia e l’atteggiamento assunto nell’occasione da molti esponenti della Lega ha indotto gli italiani, ancora una volta, a domandarsi se sussista effettivamente l’unità, come popolo e nazione; o se invece, date le diversità e le disuguaglianze esistenti, l’Italia non sia solo una espressione geografica e siano giustificate e legittime le aspirazioni alla secessione, dimostrate apertamente dai leghisti con atteggiamenti significativi, giunti al punto di prendere le distanze dalla bandiera dell’Italia.
Io credo che la storia, quella che ha preceduto il 1861 e quella dei 150 anni successivi, ci unisca molto più di quanto le diversità non ci dividano; anzi, le diversità hanno consentito una varietà di apporti di cultura, di attitudini, di capacità e di iniziativa che hanno arricchito un patrimonio che è stato di tutti e come tale è stato vissuto.
Né le disuguaglianze, specialmente quelle che sul piano delle strutture e dell’economia distinguono il nord dal sud, contraddicono l’unità: il problema meridione non può essere imputato a inettitudine della gente, i cui apporti a quel patrimonio comune – si veda la storia – hanno avuto momenti di grande rilievo qualitativo; quel problema è piuttosto il segno di una prolungata trascuratezza da parte dei poteri politici ed economici.
Dunque, i desideri secessionisti derivano solo da un mero calcolo di convenienza economica, tendono a disattendere definitivamente il dovere di partecipare alla creazione delle condizioni occorrenti perché le attitudini di quella gente del meridione possano operare, dimostrano incapacità di cogliere il valore di tutti quegli aspetti del patrimonio comune che, oltre quelli strettamente economici, danno radici profonde al legame e alle peculiarità che caratterizzano e distinguono una nazione.
Sono desideri che, di conseguenza, dimostrano anche incapacità di guardare in avanti e valutare l’agognata secessione con riferimento al fenomeno in corso della globalizzazione. In un pianeta sempre più globalizzato, essere non solo modesti come territorio ma anche privi di quelle peculiarità e quei legami che conferiscono carattere e identità diventa come navigare in un grande mare senza orientamento e senza bussola, in balia di onde e venti; infatti la globalizzazione non spoglia le comunità dei loro bagagli di cultura e di abilità che le distinguono, non le appiattisce in una sterile uniformità, anzi le chiama ad aprire i confini per consentire un rapporto reciproco di osmosi capace di risolversi in una crescita, un arricchimento in favore dell’intera collettività del “villaggio globale”. Quale partecipazione a questo fenomeno potrebbe avere la piccola Padania, dopo essersi spogliata della Storia che la rende parte dell’Italia?
bello!