Roma, 18/03/2022
ATTACCO ALL’UCRAINA: REAZIONI
La mia proposta, inviata agli ambasciatori in Italia di Federazione Russa, USA, Repubblica Popolare Cinese, Ucraina e al rappresentante della Commissione europea, invitava ad applicare, alla tragica situazione in atto, i provvedimenti suggeriti dalla cultura che dall’io scopre il noi e i conseguenti rapporti di cooperazione per trovare la realizzazione degli interessi individuali nell’ambito e nei limiti del superiore e generale interesse del bene comune. Provvedimenti che avrebbero comportato il cessate il fuoco, il ritiro non solo delle truppe e armamenti già in conflitto ma anche di quelli da tempo predisposti nei vari territori l’uno contro l’altro, quindi l’apertura dei colloqui per individuare le cooperazioni capaci di dare a tutti pace, sviluppo sostenibile, lotta comune all’emergenza climatica, giustizia sociale per tutti i popoli e
tutte le persone.
Di tale proposta ho dato notizia ad alcune delle associazioni che ai poteri politici richiedono proprio innovazioni per la tutela del clima, sostenibilità ambientale, superamento delle discriminazioni che negano la giustizia sociale; e ora manifestano con vigore contro l’attacco all’Ucraina e per la pace. Associazioni alle quali già da tempo suggerisco alcuni miei scritti, contenuti nel blog “civilsocietyleading.com”, che indicano l’esigenza e le possibili modalità di una loro unione collaborativa; necessaria per poter dare rilevanza condizionante alle loro richieste e ottenere i particolari provvedimenti attuativi, pure dettagliatamente indicati nei miei scritti e che gli attuali poteri politici ed economici non riescono a dare, sempre più autoreferenziali e lontani dal territorio e dalla cultura che viene dal basso.
Esito: nessun riscontro, a me e nei fatti. Solo qualche associazione ha inserito, sui social, l’invito ad altre associazioni di unirsi nelle manifestazioni (modesta apertura alla cooperazione, tra l’altro non strutturata e non indicativa di un deciso superamento della cultura dell’io, ancora preoccupata essenzialmente della propria autonomia e delle propria visibilità.).
Esito scoraggiante, forse dovuto al fatto che l’occasione della scellerata aggressione militare ha reso allettante e giustificata la possibilità di avere un “nemico” da combattere, di attribuirgli l’esclusiva di tutte le deviazioni e le malvagità di cui l’uomo è capace, di ritenersi e qualificarsi, al confronto, come i veri paladini e rappresentanti della democrazia e della libertà (dimenticando quanto siano estese le realtà in cui la presenza delle istituzioni democratiche rimane puramente formale; quanta ingiustizia, disuguaglianza e conseguente negazione di libertà esiste nelle cosiddette “democrazie” e come tutto ciò trovi la sua causa nel liberismo che ha consentito ed esasperato la cultura dell’io e della conflittualità; la stessa che, come era prevedibile, è stata esplicitata e riportata sul piano militare, generando la tremenda aggressione di cui ci stiamo occupando).
Dunque, l’aggressione è figlia del sistema culturale imperante; ma lo è anche la risposta che ad essa è stata data: con le armi alle armi, da parte dei poteri nazionali e internazionali, e con generica ed inefficace richiesta di pace da parte della società civile e delle sue associazioni; senza alcuna offerta di disponibilità per una reciproca innovazione culturale e per un diverso sistema che attraverso la cooperazione crei le premesse di un mondo pacifico e vivibile per tutti.
Rassegnarsi a tali esiti? No; essi sono coerenti con un sistema che, adottato ai livelli alti, risulta accettato o silenziosamente subito anche ai livelli della società civile, pertanto radicato al punto da non consentire che il cambiamento di cultura potesse conseguire al suo semplice suggerimento. Andava sostenuto da progressive riflessioni sui fatti, capaci di guidare man mano fino a determinare, ad ogni livello, la presa di coscienza di come la cultura del noi e della cooperazione sia funzionale al bene di tutti e comunque ora si ponga quale urgente alternativa alla probabile autodistruzione dell’intera Umanità.
Allora, cerco di colmare la carenza. E, riflettendo su quanto emerge dai fatti e dalla situazione generale del conflitto in atto, rilevo che : 1) l’enorme superiorità del potenziale militare dell’aggressore fa ritenere, come molti già affermano, che l’esito della occupazione dell’Ucraina da parte russa sia inevitabile, nonostante gli aiuti militari intervenuti abbiano consentito un rallentamento dell’avanzata e nonostante anche la strategia militare russa evidenzi come l’uso di forze di penetrazione modeste per qualità e capacità offensiva assecondino il ritardo dell’esito occupazione; 2) d’altro lato, la strategia russa usa al massimo la forza distruttiva dei bombardamenti, incessante, ed esasperata, a livello di cinismo, anche contro immobili civili, strutture sanitarie, centrali energetiche e cittadini in fuga, al punto di configurare possibili reati e crimini di guerra di interesse della Corte Penale Internazionale; 3) è evidente che la strategia globale russa punta tutta sulla disperazione della popolazione, portandola al punto che, nella fase in cui l’occupazione concorre solo come minaccia imminente, diventi condizionante anche per le autorità politiche, inducendole alla massima disponibilità sulle richieste russe, pur di far cessare i bombardamenti distruttivi e la conclusione dell’occupazione minacciata; 4) dunque deve concludersi che la Russia di Putin addirittura tema l’occupazione, e voglia concludere accordi che, in forza della disperazione creata dai bombardamenti, assecondino al massimo le sue richieste e rendano non più necessaria l’occupazione. E’ d’altra parte evidente, in prospettiva, che mentre accordi sottoscritti dalle parti, anche se estorti, realizzerebbero una vittoria che tra l’altro supererebbe e lascerebbe impunita l’estorsione, l’occupazione invece risulterebbe ingestibile e insostenibile; infatti, farebbe perdere l’interlocutore col quale ottenere il successo in base ad accordi, comporterebbe l’onere, esclusivo per l’occupante, della ricostruzione del Paese distrutto e della rianimazione della popolazione, la quale comunque resterebbe ostile e impegnata nella insurrezione, e comporterebbe anche la persistenza di tutte le sanzioni già imposte sul piano economico, il progressivo acquisto dell’autonomia degli altri Stati dalle sue forniture, la completa distruzione dell’economia della Federazione Russa e la sua emarginazione definitiva da ogni connessione col mondo occidentale e in particolare con l’Europa, con la quale invece sarebbe, per sua posizione e natura, destinata a integrarsi, anche per salvarsi dall’alternativa di essere progressivamente fagocitata dalla Cina.
Queste riflessioni, basate sui fatti esistenti, evidenziano come siano errati sia la persistenza della resistenza, sia gli aiuti militari ad essa funzionali; infatti si mantengono tutte le componenti dell’Ucraina, umane ed economiche, sotto la violenza distruttiva, assecondando tra l’altro proprio la strategia dell’aggressore, che
vuole indurre l’Ucraina a concludere accordi mentre versa nella peggiore delle sue condizioni possibili.
Dunque, allo stato delle cose, per l’esigenza primaria e impellente che cessi l’azione distruttiva non può farsi affidamento su una emarginazione di Putin per intervento lungimirante dei suoi poteri militari, né si può piegare la testa e accettare tutte le assurde richieste dell’invasore. La soluzione è soltanto una; quella che rovescia la situazione: far cessare l’azione distruttiva dichiarando ufficialmente l’unilaterale cessazione del fuoco – non come resa ma come unica determinazione indotta dal cinico attacco che si è esteso anche contro le strutture civili e l’inerme popolazione – e indurre l’aggressore ad assumere, inevitabilmente, la peggiore delle sue condizioni ora possibili, quale invasore indesiderato di un Paese libero e democratico.
A questo punto naturalmente dovrebbero subito uscire dall’Ucraina tutte le forze militari e gli armamenti provenienti da altri Stati, e il Presidente ucraino, prima di essere sostituito, dovrebbe invitare a rientrare in Patria tutti i cittadini fuggiti e con abitazioni ancora disponibili e dovrebbe comunicare a Putin le condizioni di un accordo possibile.
Condizioni che, oltre lo sgombero immediato di tutte le forze militari occupanti e dei loro armamenti, ferma la libertà da ogni ingerenza nelle strutture democratiche del Paese, quanto alle richieste russe, relative a Crimea, alle due regioni che si sono dichiarate autonome, all’adesione dell’Ucraina all’Europa e alla Nato e alle difese militari esistenti, dell’una e dell’altra parte, nelle zone di confine, dovrebbero essere improntate all’instaurazione di rapporti internazionali, e particolarmente tra Paesi confinanti, non più conflittuali, dettati da voglie espansive o da timori difensivi, bensì qualificati dalla cooperazione, funzionale al mantenimento della pace e allo sviluppo di reciproca crescita economica, di collaborazione per l’individuazione e la cura di interessi superiori per il bene comune, per la lotta alle emergenze climatiche, energetiche, sociali. Insomma, sarebbe bello che la tragica occasione creata dal velleitario e bellicoso Putin si potesse risolvere col dare all’Ucraina e alla sua meravigliosa popolazione l’onore di dare al mondo intero una lezione e un primo avvio della cultura che alle conflittualità per la prevalenza dell’io sostituisce la cooperazione per realizzare ognuno i propri interessi e aspirazioni nell’ambito e nei limiti degli interessi superiori per il bene comune.
Naturalmente nell’accordo dovrebbe essere assicurata l’esigenza di intervento finanziario da parte russa, e anche degli altri Stati, per dare corso immediato alla ricostruzione di quanto distrutto in Ucraina e d’altro lato dovrebbe darsi concreta apertura perché la Russia possa integrarsi in ambito europeo, per il quale è congeniale, e non soltanto per aspetto territoriale.
Tali proposte di accordo dovrebbero necessariamente essere condivise e sostenute ufficialmente dagli altri Stati, particolarmente quelli occidentali e partecipanti alla Nato.
Nella deprecata ipotesi di indisponibilità della Russia agli accordi proposti, sua persistenza nell’occupazione ed eventuale pretesa di sostituzione nella gestione del Paese, i cittadini rimarrebbero in stato di resistenza insurrezionale e gli altri Stati dovrebbero non solo mantenere le misure economiche e finanziarie già adottate contro la Russia ma anche appesantirle ulteriormente, anche chiedendo sacrifici ai
propri cittadini, per arrivare in tempi brevissimi alla totale autonomia dalle forniture di gas e materie prime e anche da rapporti finanziari e commerciali. Ipotesi, quest’ultima, che forse riuscirebbe a indurre Putin, o i suoi militari, ad apprezzare e rendere possibili gli accordi proposti dall’Ucraina, ma che, persistendo, richiederebbe enormi sacrifici per tutti e comporterebbe il terribile rischio di un conflitto generale con armi atomiche.
Concludendo, le riflessioni sui fatti in corso e sulle possibili alternative, rendono evidente come il cambio di cultura già indicato agli ambasciatori degli Stati più interessati al conflitto sia non solo possibile, ma anche unica e urgente necessità per non correre verso l’autodistruzione.
Vincenzo Vanda
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