Riforma del Senato: una proposta per il dopo NO

Moderatore: vincenzo vanda

Riforma del Senato: una proposta per il dopo NO

Messaggioda vincenzo vanda » 08/11/2016, 18:59

L’iniziativa di una riforma della Costituzione che elimini il bicameralismo perfetto offre un’occasione troppo importante per essere sciupata con l’innovazione approvata dal Parlamento e ora portata al referendum del 4 dicembre prossimo.
Tale innovazione elimina la funzione paritaria attuale senza in realtà assegnare al nuovo Senato alcuna altra funzione utile alla gestione democratica del potere legislativo; infatti mortifica il diritto democratico dei cittadini alla scelta elettorale diretta dei senatori, non estende e non migliora la conoscenza delle esigenze del territorio, non comporta un reale e significativo risparmio che possa dare senso all’innovazione e in realtà si risolve nella determinazione di un sistema parlamentare che comprime lo spazio democratico e partecipativo dei cittadini in funzione di un accresciuto potere di controllo e di condizionamento della politica da parte delle forze al governo.
Il tentativo interviene sulla situazione attuale che vede già uno scollamento notevole della società rispetto alla politica, con astensionismo sempre crescente, conseguenza proprio del senso di impotenza dei cittadini a causa di una azione politica condotta in forme sempre più personalizzate, occupata piuttosto in lotte personali e di correnti che nella ricerca e proposta dei programmi occorrenti, pronta a compromessi funzionali solo al mantenimento del potere, tendenzialmente di parte e difficilmente attenta all’interesse comune. Politica nel complesso deviante dalle funzioni che la Costituzione le assegna; e ciò nonostante non manchino voci, purtroppo isolate e inefficaci, che chiedono una gestione politica migliore.
La proposta, dunque, invece di tendere a ciò che serve, ad una riqualificazione dell’azione politica, in modo da renderla più efficace alla soluzione dei problemi e riavvicinarla ai cittadini, accentua le premesse e le condizioni della sua evidente e rilevante disfunzione, col conseguente aggravamento del disagio, non solo economico, della collettività e l’ulteriore inevitabile esito di procurare un aumento della delusione, del senso di impotenza e della disaffezione dei cittadini nei confronti della politica.
L’occasione della riforma deve essere utilizzata in senso opposto a quello contenuto dalla riforma che si vuole convalidare col referendum. La riforma deve, intanto, rispettare il diritto dei cittadini a scegliere, tra i candidati, i futuri senatori; e può assumere senso e giustificazione (si modifica una meravigliosa Costituzione!) solo se utilizzata per creare i presupposti dell’eliminazione, o quantomeno del forte contenimento, di quegli atteggiamenti e modi di gestione che sono intervenuti a degradare la funzione della politica e delle relative istituzioni.
Il Senato, dunque, rinunci pure al compito che determina il bicameralismo paritario, giustamente ritenuto ormai inopportuno, ma se deve continuare ad esistere come istituzione, allora deve essere funzionale, a mezzo di senatori eletti dai cittadini, al compito di mettere la politica, l’attività legislativa, il governo e la pubblica amministrazione tutta nella condizione di poter adottare, ed essere spinti ad adottare, decisioni e iniziative qualificate proprio da quegli elementi fondamentali che oggi difettano e la cui mancanza determina il degrado politico:1) effettivo, esteso e profondo contatto col territorio e con la cittadinanza; quel contatto che consenta massima informazione per conoscere realmente e prendere nella dovuta considerazione tutte quelle emergenze, aspettative e proposte che emergono dal basso, evidenziate dal territorio e manifestate dalla società civile; 2) profonda, eccellente competenza tecnica che, in ogni specifico settore, guidi la valutazione delle opportunità, la scelta dei giusti percorsi attuativi da seguire e la previsione delle conseguenti implicazioni; 3) una onestà intellettuale e morale che, associata alla competenza, consenta di individuare e suggerire iniziative e provvedimenti essenzialmente mirati a realizzare l’interesse comune, senza condizionamenti da esasperati ideologismi o da interessi economici e privilegi esclusivi, di parte o di mero potere.
Il primo elemento fondamentale, aderenza al territorio e alla società civile, è generalmente già sostenuto dai politici come priorità importante; anche se poi viene disatteso, come sostanzialmente accade con la proposta che sta per andare al referendum. Quanto, invece, a competenza tecnica e “interesse comune” non mancano critiche, da parte dei politici. “Basta con i tecnocrati, deve comandare la politica”, si dice; il che è corretto nel senso che spetti alla politica di indicare mete e priorità, ma è compiutamente corretto solo se tali scelte avvengano non solo democraticamente e nell’interesse comune, ma anche a seguito di quella conoscenza eccellente che solo tecnici eccellenti (non tecnocrati) possono dare. Non può infatti trascurarsi che la competenza tecnica è parte essenziale della conoscenza, di quella conoscenza compiuta indispensabile perché il politico possa prendere decisioni informate e anche il percorso attuativo della decisione sia scelto e condotto con la guida della conoscenza qualificata. La conoscenza è sempre un bene; e poichè la politica, quella istituzionale che vuole stabilire le mete, le priorità e le decisioni, spesso difetta della conoscenza occorrente, a causa di deficienze e meccanismi suoi propri e di deviazioni che intervengono, allora si può approfittare della creazione del nuovo Senato per inserire nelle istituzioni un organo capace di dare la conoscenza, quella qualificata e massimamente attendibile, che può qualificare le scelte dei politici e renderle effettivamente operative e funzionali all’interesse della collettività. .
Quanto a “interesse comune”, le critiche lo dichiarano un concetto astratto rispetto alle realtà sulle quali dovrebbe operare, soggettivo e opinabile, proiettato comunque verso futuri lontani, utopistico ecc… In realtà queste critiche sono strumentali e spesso portano a disattendere le decisioni che sarebbero opportune per il bene comune solo perché il politico è indotto dal proprio personale interesse a favorire iniziative che consentano di ottenere risultati a breve, funzionali a conservare o estendere potere, vantaggi e privilegi; come alcuni esempi possono evidenziare.
Su alcuni problemi le attese e le lungaggini vengono giustificate come necessarie o inevitabili, mentre l’interesse della collettività richiederebbe efficaci interventi urgenti. E’ quanto accade nel caso del contenimento dell’anidride carbonica, sul quale la politica, condizionata da resistenze di vario tipo, ci dà dichiarazioni di intenti e concreti persistenti rinvii, mentre la scienza ci dice che le conseguenti turbolenze climatiche e lo scioglimento di ghiacciai, anche di vaste zone ai poli, sono minacce serie e gravissime che incombono e vanno affrontate senza esitazioni. Questa realtà non concede tempi lunghi e richiede, nell’interesse della collettività, che la politica orienti decisamente i settori responsabili dell’inquinamento verso tutte le modifiche che, adottate con guida tecnica e con sostegno per le conseguenti implicazioni, portino comunque a risultati concreti, efficaci e tempestivi. Questa esigenza avrebbe più speranze di essere assecondata se un Senato, con le sue competenze eccellenti, la portasse all’ordine del giorno e indicasse il da fare e come farlo, in modo sostenibile ma efficace quanto occorre.
Anche l’esigenza di invertire l’andamento che vede crescere la povertà, la distanza tra poveri e ricchi, la degradazione progressiva della classe di mezzo verso la povertà, offre un esempio di indiscutibile interesse comune che non viene adeguatamente curato dalla politica. Infatti la politica lo indica nei suoi buoni propositi, ma poi non adotta i provvedimenti che sarebbero possibili, capaci di efficacia immediata di giustizia sociale e anche conformi alla Costituzione, che – è bene ricordarlo – indica anche l’esigenza della solidarietà. In questo caso le resistenze provengono da molti settori e da posizioni radicate e forti, che difendono, anche con argomentazioni apparentemente sostenibili, privilegi che, nelle condizioni di degrado sociale alle quali si è pervenuti, diventano in contrasto con gli inalienabili diritti umani e anche, si ripete, contrari allo spirito di giustizia sociale che impronta la nostra Costituzione. Dunque, anche in questo caso occorre una voce istituzionale che, animata da competenza e alta onestà intellettuale e morale, sappia indicare la strada giusta, percorribile ed efficace, per avviare il processo realizzativo dell’interesse comune.
Per alcune emergenze occorrono effettivamente tempi lunghi ed anche l’avvio di provvedimenti adeguati presenta difficoltà, data l’esigenza di cooperazione internazionale. Ma il bene comune richiede comunque la loro soluzione e dunque anch’esse meritano di essere messe sotto serio e competente esame, per individuare quanto meno i progressivi percorsi giusti da avviare verso la soluzione, piuttosto che essere accantonate come emergenze di soluzione improbabile o comunque affidate alla speranza di condizioni diverse, del lontano futuro, se non addirittura sfruttate per vergognose utilità economiche e di potere. Così è per il problema della travolgente immigrazione, per il quale il bene comune si può realizzare solo se si collabora per realizzare le condizioni di sostenibilità della vita nei paesi dai quali oggi la gente fugge, piuttosto che continuare con gli sfruttamenti propri del colonialismo economico e l’utilizzazione del fenomeno stesso dell’emigrazione. Le terre sono vasi comunicanti: o aiutiamo i loro popoli a risolvere i problemi che vi rendono la vita insostenibile o le emigrazioni continueranno, come insegna la storia. Sarebbe pertanto possibile che uno studio competente e coraggioso (capace anche di scoprire e evidenziare le realtà) in funzione del bene comune indicasse le vie percorribili e i fondi da coinvolgere, le azioni formative da svolgere sul posto e gli sfruttamenti da additare e boicottare per mettere subito in atto la marcia verso la soluzione del problema.
Un altro esempio: il problema dell’alternativa tra globalizzazione e chiusura protettiva dei singoli Stati. La prima è stata portata avanti con la progressiva apertura dei mercati e la circolazione di persone e capitali, con la prospettiva di una generalizzata crescita. Ma il mancato, corrispondente allargamento, tramite unificazioni, della sovranità e dei relativi poteri dei singoli Stati e il mantenimento, anche nelle unioni (come quella europea), di sufficiente libertà al capitale di operare secondo la regola del massimo profitto, che non esclude la concorrenza ostile, quella che va oltre lo stimolo al miglioramento e determina in vari modi l’eliminazione del concorrente, hanno determinato problemi, ripensamenti e la corsa verso forme, mascherate o dichiarate, di chiusura e protezione. Questo problema non è di facile soluzione, e poiché la tendenza storica alla globalizzazione non può trovare soluzione col ritorno al passato, l’interesse comune non può che consistere nell’eliminazione degli inconvenienti emersi, e così renderla capace delle utilità e del progresso che prometteva. Ciò può e deve essere ottenuto dalla politica, infatti lasciare che economia e finanza continuino ad operare liberamente e che siano loro a determinare l’evoluzione di questa situazione è un errore grave della politica, che inevitabilmente apporterà ulteriori chiusure e conflitti e crescita di populismi e dittatori. Il compito richiesto è di evidente difficoltà, ma va affrontato e dunque, ancora una volta, appare evidente l’esigenza che esso sia affidato a persone qualificate, che parlino da ambiente istituzionale e abbiano anzitutto la forza di rimuovere le resistenze ad una visione chiara delle alternative esistenti e delle rispettive regole da accettare e generalizzare. Infatti, se si vuole mantenere in vita la globalizzazione estesa solo nei rapporti economici, mantenendo limitata la sovranità dei singoli Stati, allora occorre una rigorosa normativa che riesca a mantenere la concorrenza nella funzione di stimolo al miglioramento, ma lasci ai singoli Stati le misure protettive delle proprie strutture economiche, impedendo così che anche tra Stati si inneschi e proceda un crescente distacco tra quelli sempre più ricchi e quelli sempre più poveri. Ma trovare le regole giuste, capaci di mantenere un equilibrio non distruttivo di ricchezza, da proporre al confine tra concorrenza positiva funzionale alla crescita e concorrenza che intende fagocitare le imprese meno concorrenti è compito che solo esperti eccellenti possono provare a indicare. Quanto poi, alla globalizzazione nell’ambito delle unioni, come nel caso dell’Unione europea, allora non basta contrastare la concorrenza ostile; è necessario che la competenza qualificata, eccellente, quella che riesce ad avere ascolto, specialmente se proveniente da fonte istituzionale, metta in evidenza come sia interesse comune, per un equilibrio funzionale alla crescita stabile dell’intera unione, che gli Stati con situazioni economiche e finanziarie in difficoltà non vengano accolti nella unione, lasciandoli liberi di difendersi con le antiche forme protettive, oppure, in alternativa, vengano accolti con l’applicazione della solidarietà estesa tanto quanto occorra perché siano portati ad uno sviluppo sostenibile nell’unione e, durante questo percorso, siano soggetti a regole diverse, idonee allo scopo; naturalmente a condizione che essi corrispondano all’aiuto con ogni adeguamento necessario al risultato occorrente.
L’indicazione di problemi per i quali la presenza di un Senato composto di grandi esperti sarebbe di estrema importanza nella ricerca delle soluzioni funzionali al bene comune potrebbe continuare a lungo. Si rifletta, ancora, su problemi quali il contrasto alla corruzione e all’evasione, finora incerto e timido, annacquato da compromessi per resistenze varie e certamente invece avviabile a buona soluzione a seguito di indicazioni che, sostenute da autorevolezza e comprovata fattibilità, difficilmente sarebbero eludibili da parte della politica. Fattibilità che, d’altra parte, avrebbe bisogno di competente approfondimento per quella parte di evasori e di economia sommersa che (si ripete, in parte) una volta scoperta o emersa dovrebbe chiudere l’attività che diventerebbe passiva rispettando le regole fiscali. Ecco quindi la necessità di un organo istituzionale che sappia indicare i percorsi giusti perché i risultati indicati dall’interesse comune si raggiungano, ma il percorso sia individuato in modo sostenibile anche da chi sta ai margini dell’economicità, con beneficio effettivo per la collettività intera.
Si pensi, ancora, al problema pensionistico, che ha risolto una esigenza strettamente economica, dovuta all’allungamento della durata della vita media (e quindi del tempo di percepimento della pensione) sulla pelle dei giovani e delle generazioni future, mentre una indagine più approfondita, competente, attenta all’interesse comune e lungimirante, potrebbe evidenziare che, oltre l’aspetto morale e di giustizia sociale, anche sul piano economico la soluzione preoccupata dei tempi brevi produce in prospettiva un danno enorme quale è quello derivante dalla persistente disoccupazione e dalla perdita di tutta l’attività produttiva e innovativa che sarebbe derivata dall’ingresso dei giovani. E una tale indagine avrebbe potuto, e forse ancora potrebbe, autorevolmente trovare, su spinta del nuovo Senato, soluzioni più attente all’effettivo bene comune.
Si potrebbe andare oltre con gli esempi, ma questo scritto rischierebbe di non essere letto, immolato all’esigenza del rapido e subito che non consente lungaggini. Speriamo che gli esempi portati siano sufficienti a farne immaginarne i tanti altri possibili e a portare l’attenzione sulla necessità di aiutare, da posizione istituzionale, la politica a determinarsi in termini più qualificati verso le esigenze della collettività e dell’interesse comune.
Che la spinta venga da posizione istituzionale è importante, infatti i grandi esperti oggi intervengono raramente sui problemi con loro considerazioni e consigli e comunque attraverso articoli di giornali, conferenze e festival vari che non trasmettono i contenuti alla maggior parte della società civile, hanno una partecipazione spesso limitata agli addetti ai lavori e a pochi politici, interessati il più delle volte solo all’importanza della presenza. I risultato è, normalmente, l’inefficacia sulla realtà delle cose; l’evento sparisce in breve dall’attualità, non ha alcun seguito concreto verso l’alto, dove politica, economia e finanza decidono e operano; né verso il basso, la società civile, che sostanzialmente non viene coinvolta, non partecipa in modo attivo, non viene informata, non viene motivata ad assumere un atteggiamento di speranza, di fiducia verso le istituzioni e di attivazione collaborativa.
Dunque, col nuovo Senato si può cambiare; si può ottenere che la spinta verso decisioni e comportamenti qualificati da conoscenza, competenza e riferimento al bene comune provenga da un organo istituzionale, portatore di autorità e risonanza sia verso le istituzioni che decidono e i poteri economici e finanziari determinanti, sia verso la società. E si potrà così fondatamente sperare che le indicazioni degli esperti e dei saggi non rimangano inascoltate o declassate a mere utopie o pura accademia. Infatti la politica, gli organi istituzionali autorizzati ai vari livelli alle decisioni non potranno ignorare le indicazioni del Senato della Repubblica, senza motivazioni convincenti, pena la disapprovazione sonora della società civile. Reazione della società civile che potrà esserci, ed essere a sua volta anche condizionante verso i poteri che decidono, solo se il Senato stabilisca, come primo e fondamentale compito, un contatto intenso col territorio e con tutti gli strati della società civile, in modo penetrante e con l’uso di ogni idoneo mezzo di comunicazione, stabilendo un flusso di scambio di dati nei due sensi, tale che consenta al Senato di conoscere tutte le esigenze dei territori e della società, le emergenze, le speranze e le richieste; e consenta alla società tutta di conoscere tutte le indicazioni che il Senato, attraverso le consulenze e le iniziative proposte agli altri poteri, produce nell’interesse comune, anche in adesione, per quanto possibile e opportuno, alle istanze provenienti dal basso. Ciò potrà avere, anche, l’effetto di portare la società civile a sentire che il sistema diventa effettivamente democratico, nel senso che la politica sia vicina alla società, consenta una partecipazione intensa e con rilevanza anche deliberativa, oltre le limitate ipotesi oggi previste dalla Costituzione (e ancor più condizionate dalla proposta portata al referendum); e comporterà anche che la società civile sentirà l’esigenza di coagularsi, abbandonando le separazioni, gelosie e posizioni di privilegio, che anche in questo settore esistono, per rispondere nell’interesse comune alle nuove opportunità di vera democrazia offerta dalla innovazione del Senato.
Ma, sarà possibile per i cittadini eleggere a senatore persone che corrispondano alle qualità richieste di altissima conoscenza e competenza nei vari settori, esenti da conflitti di interesse e resistenti ai condizionamenti di parte, disponibili alla ricerca di ciò che sia fattibile in modo tecnicamente corretto e rispondente all’interesse della collettività, e, ancora, disposti a dedicarsi a tempo abbastanza pieno, quanto richiedono la suddetta dedizione al rapporto con territorio e società, la ricerca delle soluzioni per i problemi esistenti, le innovazioni da proporre, le consulenze da dare su richiesta di organi ed enti della P.A.? Certamente tra le persone di alta qualificazione tecnica ed esperienza, nei vari settori (professori, giornalisti, scienziati, professionisti, economisti, magistrati, manager di vari campi della produzione, tecnici della Pubblica Amministrazione, artisti ecc…), alcuni risulteranno, agli accertamenti per tutti occorrenti, non idonei, o per loro indisponibilità ad assumere il nuovo impegnativo compito a causa dei loro legami operativi già in corso, oppure perché condizionati in modo rilevante da legami con realtà di parte, politiche o economiche, o per qualunque altro motivo che non li renda totalmente rispondenti alle qualità e condizioni richieste. Ma ciò, è altrettanto certo, non escluderà che molte persone idonee si rendano spontaneamente disponibili e anche quelle già impegnate possano valutare l’importanza della funzione proposta e dare comunque riscontro positivo. In ogni caso, dovrebbe prevedersi che gli eletti, i futuri senatori, possano estendere la ricerca richiedendo consulenza e partecipazione ad elementi esperti in attività nella P.A. e possano, anche, in qualche modo cooptare, per esigenze delle loro ricerche, luminari che, pur non eletti per loro dichiarata indisponibilità, risultino comunque disposti a forme di collaborazione occasionale.
Dunque, l’interrogativo che sopra è stato posto consente risposta positiva. Inoltre, è chiaro che ogni senatore dovrebbe avere la collaborazione di tutti gli altri eletti; ciò sia per la connessione di vari aspetti tecnici che normalmente interviene su ogni questione in esame, sia perché l’esito, la consulenza o l’innovazione o il procedimento da suggerire agli altri poteri istituzionali, dovranno avere, come titolarità, l’intero Senato. Naturalmente le regole per determinare il senatore competente per ogni questione e trattare le eventuali diversità di parere tecnico saranno i senatori eletti a deciderle in modo da assicurare la funzionalità del nuovo Senato.
A questo Senato certamente dovrebbe riconoscersi la partecipazione all’elezione del Presidente della Repubblica e assegnare la soluzione dei conflitti di competenza tra Regioni e Stato.
Chi ritenga che questa idea di Senato sia valida e importante, la sposi, la migliori, la sostenga come impegno per il dopo NO al referendum.
vincenzo vanda
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