Giovani in piazza e nuova Unione europea

Moderatore: vincenzo vanda

Giovani in piazza e nuova Unione europea

Messaggioda vincenzo vanda » 04/09/2019, 19:09

Unione europea
L’esistenza dell’Europa unita è stata positiva per molti aspetti. Allo stato della situazione internazionale attuale il suo disfacimento comporterebbe per i singoli Stati regresso e gravi nuove difficoltà economiche, finanziarie, monetarie, oltre la perdita di consistenza nei rapporti internazionali e lo smarrimento per la caduta del sogno che aveva assecondato la nascita progressiva dell’Unione. Dunque, l’Unione europea va salvata. Ma ciò non esclude che essa meriti critiche e che abbia necessità di consistenti cambiamenti ed evoluzioni., sia nelle strutture che nelle regole e nei compiti.
Evoluzione delle istituzioni
E dei rapporti tra gli Stati membri
Il sistema attuale è frutto di malcelata diffidenza reciproca tra gli Stati membri; infatti mortifica la rilevanza del voto degli elettori, sottraendo al Parlamento poteri rilevanti in ordine agli indirizzi della politica, alla costituzione del governo e all’esercizio del potere legislativo. Poteri che vengono assegnati al Consiglio Europeo e al Consiglio dell’Unione Europea che sono costituiti da organi di governo degli Stati membri. Ciò ha comportato che spesso l’interesse comune non sia emerso e che il sistema decisionale abbia portato a provvedimenti condizionati da interessi di singoli Stati membri più autorevoli e non rispondenti alle esigenze dell’Unione. Inoltre, tale sistema ha comportato il convincimento che le decisioni si sarebbero formate piuttosto coi confronti di forza negli organi costituiti dalle cariche governative dei singoli membri e che le elezioni del Parlamento fossero di poca importanza. Convincimento che ha determinato scelte di poca qualità, da parte sia dei partiti nella formazione delle liste, sia degli elettori nella partecipazione e nella scelta del voto.
L’emersione di questi aspetti negativi ha finalmente determinato la consapevolezza che per salvare e dare rilevanza internazionale all’Unione Europea, devono intervenire due innovazioni fondamentali: 1) mandare al Parlamento persone che diano affidamento in ordine alle competenze occorrenti e alla attitudine, libera, a curare l’interesse generale dell’Unione; 2) riformare la governance in modo che si faccia un salto di qualità, si abbandoni la diffidenza reciproca e si diano all’Unione i poteri perché si passi dalla conflittualità tra interessi individuali alla cooperazione nella cura dell’interesse comune. Questi sono i presupposti per consentire che nei vari settori i singoli provvedimenti abbiano concreta capacità attuativa e siano funzionali alla concorde crescita dell’Unione.
Dunque, intanto è augurabile che per le prossime elezioni i partiti rispondano al primo presupposto, formino liste di candidati con le qualità richieste; realizzino in sede nazionale le unioni tra partiti e movimenti sociali che abbiano concordanza di orientamento; scelgano con i partiti europei coerenti collegamenti e anche il comune candidato alla presidenza della Commissione. Inoltre diano agli elettori sufficiente conoscenza di questi elementi, e anche delle linee che determinano l’orientamento politico e dei programmi concreti. Ciò consentirà agli elettori una scelta informata e li indurrà alla partecipazione; inoltre, potrà eliminare i presupposti, di negatività e disinformazione, che favoriscono populismo e sovranismo.
Quanto all’evoluzione, l’Unione deve tendere ad ampliare l’integrazione, fino alla adozione di un modello federale. Un modello che lasci persistere identità e spazi di autonomia ai singoli Stati, particolarmente sul piano esecutivo, ma comporti delega di sovranità. In modo che le istituzioni europee possano essere al di sopra degli interessi particolari dei singoli Stati, curare l’integrazione tra gli Stati membri e realizzare l’interesse comune; il quale vuole che il progresso e il benessere dei singoli Stati si realizzi nell’ambito del progresso dell’intera Unione. Dunque, la delega deve dare all’Unione il potere di intervenire e disporre in ogni settore, con provvedimenti dettagliati ed esecutivi o, secondo l’occorrenza, con direttive di massima. Ma è essenziale che la delega venga usata con criteri di proporzionalità e di flessibilità; criteri che consentano di articolare e adattare i provvedimenti secondo le peculiarità e le condizioni dei singoli Stati. Infatti solo gli adattamenti possano realizzare il suddetto interesse superiore dell’intera Unione a creare integrazione e comune progresso di tutti gli Stati membri. Trattasi di quella flessibilità che è mancata finora nelle regole e che solo in parte ha trovato spazi, con giustificazioni forzate. L’imposizione di regole rigide, uguali per tutti, ha avuto conseguenze gravi. Alcuni Paesi sono stati costretti a inutili sacrifici, rimanendo comunque inadempienti alle rigide normative comunitarie. Ciò ha creato sfiducia nei loro confronti e conseguenti reazioni ostili del mercato. Condizioni che hanno anche reso tali Paesi facile preda di speculazioni e concorrenza, e di conseguenza disponibili ad assecondare politiche populiste e sovraniste. Se non si voglia persistere in questi errori e nelle sue gravi conseguenze, l’Unione europea deve cambiare totalmente la sua cultura di base e modificare gli orientamenti e le normative ad essa legati.
Accogliere uno Stato nell’Unione deve comportare il compito, dell’Unione e degli altri Stati membri, di: 1) prescindere dai motivi che lo abbiano portato a eventuali condizioni di divario, difficoltà o comunque di inferiorità rispetto agli altri Stati; infatti, è errato far valere eventuali colpevolezze pregresse per giustificare un regolamento di rapporti che ostacola il necessario progresso comune e determina l’aggravarsi di disuguaglianze dannose anche per l’intera Unione; 2) eliminare nei suoi confronti qualunque comportamento, all’interno dell’Unione, che approfitti dello stato di difficoltà con atti di speculazione e/o concorrenza sleale, ostile o comunque causa di ulteriore danno alla sua economia; 3) aiutarlo, con tutte le sovvenzioni, interventi e flessibilità nell’applicazione delle normative; affinché possa attivare le innovazioni necessarie per superare le condizioni di difficoltà e inferiorità; possa pervenire progressivamente a condizioni di vita, di stabilità e di progresso in armonia con le migliori condizioni comunitarie; 4) dare concreto segno di stima e importanza a tutti gli Stati, anche nuovi arrivati, piccoli o in difficoltà che siano, coinvolgendoli in ogni iniziativa ed evitando quegli atteggiamenti discriminatori che sembrano distinguere e far valere categorie diverse tra i membri dell’Unione.
Tale compito in concreto comporta che: 1) nell’ambito europeo debbano essere eliminati quei vari meccanismi concorrenziali sleali che alcuni Stati hanno attivato per procurarsi, a danno di altri membri dell’Unione, afflusso di capitali, di imprese e di capitale umano (trattamento fiscale di favore, riconoscimenti fittizi di residenze e cittadinanze, corrispettivi maggiorati appositamente per professionisti); 2) si debba impedire che attività economiche strategiche o comunque rilevanti al mantenimento di settori economici diventino preda degli Stati più forti; e ottenere che i Paesi in condizioni di rilevante avanzo commerciale piuttosto incrementino i consumi interni; 3) si impedisca che anche la concorrenza lecita si risolva in danno strutturale di settori economici del Paese che versa in condizioni di difficoltà; 4) di conseguenza debbano essere modificate, con la previsione delle flessibilità occorrenti per i Paesi in difficoltà, tutte le normative attuali che prevedono rigorosi obblighi in campo economico e finanziario. Quelle norme relative al sistema bancario, agli obblighi sul rapporto tra deficit e Pil e sul rapporto tra debito e Pil (il fiscal compact), al divieto di aiuto alle imprese, agli obblighi di estensione all’ambito europeo delle gare d’appalto; 5) in linea generale, dunque, si comprenda che le difficoltà economiche, finanziarie e strutturali di un Paese possono risolversi, piuttosto che con l’applicazione rigida di norme di austerità, consentendo innovazioni strutturali capaci di rianimare l’economia reale e aumentare anzitutto il Pil; innovazioni resi possibili solo adottando normative che prevedano rapporti interni di protezione, solidarietà e flessibilità; 6) naturalmente, anche gli aiuti finanziari costituiscano un sostegno adeguato alle occorrenze, con fondi gratuiti dell’Unione che partecipino a progetti innovativi; e anche con prestiti a tasso agevolato, preferibilmente sempre dati da fondi comunitari e, in ipotesi di intervento degli enti internazionali, evitando tassi che ne rendano l’uso impossibile o insostenibile; 7) l’Unione impedisca che la concorrenza interna favorisca fughe di attività economiche da un Paese membro che per superare le difficoltà adotti provvedimenti rigidi di contrasto all’evasione e alla criminalità (si pensi all’ipotesi che l’Italia torni a limitare a 100,00 euro l’uso del contante).
E’ evidente come queste qualificanti innovazioni nei rapporti interni presuppongano che anche i Paesi bisognosi di aiuto e flessibilità debbano rendersi disponibili a esaminare i punti e le cause del divario e concordare con le istituzioni centrali un piano concreto di interventi strutturali e innovazioni occorrenti. Il piano deve tendere a rimuovere le cause che concorrono a determinare i problemi e d’altro lato a utilizzare aiuti e flessibilità per innescare anzitutto un significativo miglioramento del Pil. Migliorando il Pil lo Stato potrà disporre di nuovi margini finanziari per altre innovazioni necessarie. Questi opportuni accordi non devono essere resistiti quale perdita di libertà e di sovranità; nel presupposto che i sostegni dell’Unione previsti dal piano li rendano sostenibili e funzionali al progresso del Paese e di tutta la Comunità.
Con riferimento alle normative in atto e alle innovazioni che vengono attualmente accennate in sede europea conseguono i seguenti ulteriori rilievi. La concorrenza all’interno dell’Unione deve diventare, in linea generale, funzionale allo stimolo migliorativo per le imprese, lecita, non ostile, contenuta nei limiti che non realizzino condizione di monopolio o comunque dominante; inoltre, anche se lecita, non deve mai essere causa di danno grave di interi settori produttivi; deve essere proporzionale e flessibile ove occorra, sempre funzionale al superiore interesse che dell’intera Unione alla creazione di una crescente integrazione tra gli Stati membri e di un progresso comune e armonioso.
In tale contesto è meritevole di approvazione l’innovazione alle regole dell’anti trust richiesta da Germania e Francia per consentire anche alle grandi imprese europee di effettuare fusioni e/o acquisizioni necessarie per competere adeguatamente in ambito internazionale. Meritevole di approvazione è anche l’iniziativa di estendere il diritto di veto difensivo (il golden power) a settori e imprese di rilevanza strategica per l’economia degli Stati membri dell’Unione, per impedire acquisizioni extracomunitarie. Anche l’intenzione di pervenire ad una più integrata Unione bancaria è positiva; infatti sono positivi sia l’attenzione alla riduzione dei rischi che il potenziamento del fondo unico di risoluzione (l’Srm) attraverso maggior sostegno da parte del meccanismo europeo di stabilità (l’Esm, fondo salva Stati). Invece il bail in, che esclude aiuti esterni alla banca in crisi, si pone in contrasto con l’esigenza di flessibilità di cui sopra; pertanto va espressamente eliminato, anche se sembra superato da recente decisione giudiziale.
L’idea di istituire un bilancio proprio della zona euro, per sostenere i Paesi membri nella ricerca di convergenza e competitività, è positiva e da assecondare. Ma non è condivisibile la condizione che pretende, dallo Stato richiedente il sostegno, di essere a posto con bilancio e relative regole (ad oggi uguali per tutti gli Stati). Traspare, in tale condizione, la resistenza a qualunque innovazione che possa comportare una responsabilità comune e solidale in ordine sia ai depositi che ai debiti pubblici. Infatti, per favorire la ristrutturazione di debiti pubblici non sostenibili è stato ipotizzato di consentire al Fondo salva Stati di intervenire a sostegno, con garanzia data da una assicurazione i cui premi vengano pagati dai singoli Stati membri. Ciò consentirebbe agli Stati di fare i relativi investimenti di ristrutturazione senza che i debiti assunti verso il Fondo vengano calcolati nel deficit. Il meccanismo sembra meritevole, presentandosi come tentativo di rendere solidali quei debiti; ma tale solidarietà in realtà non esiste, o quantomeno è molto ridimensionata, dal momento che il meccanismo prevede anche che l’entità del premio si debba diversificare secondo il rischio di ogni singolo Paese. Dunque, ritornano discrimine e divario e nella sostanza persiste la resistenza, particolarmente da parte della Germania, a condividere i rischi di posizioni debitorie che siano pericolosamente fuori dai parametri fissati. Ma è possibile, e nell’interesse dell’Unione che queste situazioni vengano portate in condizione di armonia e tranquillità. Se si assuma la nuova cultura di cui sopra si è detto e si concordino, tra Unione e Paese assistito, i provvedimenti idonei a risanare le cause delle difficoltà, anche la condivisione dei rischi non avrebbe motivo di essere temuta e potrebbe essere prevista. Tale importante innovazione avrebbe l’effetto di concorrere a generalizzare condizioni di equilibrio e fiducia, essenziali perché il mercato e i capitali rispondano positivamente in funzione di una adeguata ripresa dell’economia reale.
In conclusione, è necessario che si abbandoni la cultura della conflittualità e della concorrenza interna dettata da egoismi nazionali; è necessario che l’interesse dei singoli membri si realizzi nell’ambito degli interessi superiori dell’Unione. Pertanto occorre coesione, convergenza, solidarietà, fiducia reciproca. Occorre abbandonare diritti di veto e esigenza di unanimità, che derivano dalla sfiducia imperante, ostacolano il progresso o lo deteriorano con compromessi che si risolvono spesso in mancate decisioni. Occorre che la dimensione sovranazionale assuma rilevanza nella struttura istituzionale e nelle regole.
Ciò richiede intanto che la Commissione, come organo di governo, e il Parlamento, quale potere legislativo, riprendano a svolgere effettivamente i compiti di loro competenza, con cura degli interessi generali dell’Unione. Compiti che certamente risulterebbero facilitati da elezioni svolte come sopra suggerito e da una riduzione dei poteri del Consiglio europeo. Infatti il potere di questo organo, di essere determinante nella scelta e nella nomina dei commissari e di dare indirizzo generale alle politiche europee, comporta una subordinazione della Commissione alle sue decisioni. Conseguenza inopportuna; infatti il Consiglio è composto dalle massime autorità governative dei singoli Stati membri e pertanto le sue decisioni nascono da compromessi e predomini nel conflitto di interessi propri dei singoli Stati, piuttosto che dalle esigenze indicate dall’interesse superiore dell’Unione. Inoltre, quelle decisioni sono autonome e indipendenti rispetto all’esito elettorale che ha costituito il Parlamento. Si ritiene dunque che il Consiglio europeo dovrebbe avere solo compiti essenzialmente consultivi, per dare agli organi del potere legislativo la conoscenza, certamente molto importante, delle condizioni e degli interessi dei singoli Stati. Ciò, affinché le decisioni del Parlamento, nell’approvazione e nomina dei commissari e nella specificazione concreta della politica aderente alla sua maggioranza, tenga nella dovuta considerazione anche le peculiarità e le esigenze dei singoli Stati.
Anche il Consiglio dell’Unione Europea manifesta la diffidenza verso le scelte degli elettori e le capacità degli eletti; infatti è composto dai ministri degli Stati membri competenti per la materia in esame, i quali intervengono sulla formazione delle leggi, condividendo col Parlamento, come “camera alta”, il potere legislativo. Anche in questo caso il loro apporto non può che rispecchiare interessi di parte, con la conseguente prevalenza degli Stati membri più forti. Dunque, anche il compito di questo organo dovrebbe essere ridimensionato, convertendolo in quello di dare al Parlamento, con informazioni e pareri non vincolanti, conoscenza delle esigenze e degli interessi dei singoli Stati nel settore ogni volta in esame.
In conclusione, anzitutto occorrono coscienza dell’importanza di salvare e far progredire l’Unione europea, scelta idonea dei candidati, informativa che consenta agli elettori partecipazione e voto informato. Quindi occorre che nella nuova legislazione si abbia il coraggio di abbandonare diffidenza, conflittualità in funzione di interessi individuali, conseguente riserva gelosa di poteri agli organi governativi dei singoli membri. E si proceda verso una integrazione completa, capace di essere anche armoniosa, solidale e flessibile con le parti in difficoltà, sempre funzionale all’interesse e al bene comune, in evoluzione verso il modello federale.
Innovazioni tutte essenziali perché si proceda all’adozione di una Costituzione che completi la transizione. Costituzione che dovrà specificare delega di sovranità degli Stati membri, ambito di loro autonomia, struttura di organi e istituzioni pubbliche e naturalmente l’orientamento della politica in tutti i settori, particolarmente in campo economico, sociale, ambientale, difesa, immigrazione, rapporti internazionali.
Inoltre, nella determinazione di tale struttura non dovrà mancare una particolare attenzione all’esigenza di assicurare all’Unione conoscenza e partecipazione sociale. Conoscenza intesa, oltre quella data dai due organi sopra esaminati, anche come capacità di discernimento in ordine a cause, effetti, opportunità relativi a problemi da affrontare e provvedimenti da adottare. Tale conoscenza dovrà essere fornita da esperti eccellenti dei vari settori, perché le decisioni e i provvedimenti, sebbene proposti dalla politica, siano sempre consapevoli, illuminati, lungimiranti, fattibili e realmente funzionali all’interesse che si voglia realizzare. Ma conoscenza intesa anche come contatto con la società civile, stabilito e strutturato in modo che assicuri l’aderenza costante alle esigenze e all’evoluzione espresse direttamente dai cittadini europei, spesso percepite in grave ritardo dalla politica. Inoltre, partecipazione della società civile assicurata anche in termini organici e istituzionali che diano effettiva possibilità alle sue espressioni associative di essere consultate e formulare richieste che vengano esaminate e valutate.
Quanto alla difesa, è in atto una costante sollecitazione da parte di Francia e Germania alla formazione di un esercito europeo. La proposta è sostenuta evidenziando che il crescente disimpegno degli USA, la crescita della Cina, la corsa generalizzata agli armamenti e la crescita di conflitti sia attuali che in prospettiva, comportano per l’Unione europea l’esigenza di adeguarsi militarmente e non rimanere in condizioni di inferiorità sul piano difensivo e del prestigio. Le motivazioni manifestano un’ottica di individualismo, di rapporti internazionali basati su conflittualità e confronti di forza, di prestigio fondato anche sulla forza militare. Ottica che non può condividersi, se si voglia aspirare e operare perché quell’armonia da rafforzare in Europa si estenda anche in sede internazionale, in ambito planetario. E’ vero che per la globalizzazione la delusione è subentrata all’entusiasmo; è vero che le conseguenti tendenze alle chiusure, il sorgere di muri, nazionalismi e sovranismi determinano rapporti conflittuali e confronti di forza e di potere, anche militare; ma è vero pure che tutto ciò è derivato da una serie di errori, da una globalizzazione non regolata e non moderata che ha aperto il campo planetario ad un sistema economico costituito da capitalismo, liberismo e speculazioni finanziarie. Sistema che si è reso responsabile della crisi dell’economia reale e delle conseguenze che nei settori della vita economica e sociale hanno causato povertà, disuguaglianze, disoccupazione, sacrificio dei giovani, recessione economica e regressione sociale. Dunque, la reazione che si adegua all’istinto della fuga, della chiusura, dell’individualismo e del rafforzamento dell’azione armata di difesa e di attacco, è assolutamente sbagliata. Essa infatti accentua l’impostazione conflittuale dei rapporti internazionali, indebolisce le economie dei singoli Stati membri, accentua tra loro i rapporti di forza e disuguaglianze; inoltre, demolisce ulteriormente le speranze di cooperazione internazionale nella soluzione di problemi ormai planetari, quali sostenibilità ambientale, clima, terrorismo. E, quanto alle armi, è noto che più ce ne sono e più aumentano i conflitti armati, perché esse sono fatte per essere usate, da chi le produce o da chi le acquista. Dunque con la loro crescita anche il disarmo, specialmente quello nucleare, perde ogni prospettiva di progresso. Allora, è evidente che la risposta giusta ai problemi insorti non può che essere quella di rimuovere le cause, invece di aggravarle. Bisogna regolamentare la globalizzazione, cooperare per affermare un sistema economico che rilanci l’economia reale, creare giustizia sociale e sostenibilità ambientale. Creare, così, le premesse perché i conflitti internazionali trovino soluzione in accordi e/o decisioni di enti sovranazionali di giustizia piuttosto che nelle armi. Gli elementi di cooperazione, solidarietà, proporzionalità e flessibilità da sviluppare nell’Unione europea, funzionali ad una crescita armoniosa e pacifica degli Stati membri, occorrono anche in campo planetario e dunque bisogna collaborare per estenderle, anche con l’esempio. A tali esigenze consegue che l’esercito europeo può avere significato ed effetto positivi solo se comporti nei rapporti interni maggiore integrazione tra gli Stati membri e delega di sovranità per l’interesse comune. Comporti che l’attuazione dell’esigenza di avere un esercito sia delegata all’Unione, che i singoli membri non abbiano più il loro singolo esercito (acquistando così enormi disponibilità in fatto di bilancio) e mantengano attiva solo la ricerca e solo una eventuale quota di partecipazione alla disponibilità di personale e armi occorrente all’Unione. Comporti, inoltre, che l’Unione contenga il suo nuovo esercito nei limiti degli obblighi di solidarietà in ambito internazionale (oggi partecipazione alla NATO, domani, come augurabile, quota di partecipazione richiesta dall’ONU, o altra organizzazione sovranazionale, unica ad avere titolarità e disponibilità di armamenti ed esercito). A queste condizioni, nei rapporti interni all’Unione e in quelli funzionali al futuro da proporre nei rapporti planetari, l’esercito europeo può essere condivisibile e da assecondare.
Quanto alla immigrazione, che ha creato problemi e disaccordi, è necessario che la soluzione porti il segno della dimensione sovranazionale, capace di comporre i conflitti, assicurare la dovuta solidarietà agli immigrati e anche realizzare le opportunità che il fenomeno offre al bene comune dell’Unione. Dunque, i punti di accesso, sia marittimi che terrestri, devono essere considerati come confini dell’Unione, e a questa compete la gestione del fenomeno, qualunque sia il punto di accesso interessato. Ciò, sia in ordine alla difesa del confine che alla gestione del flusso immigratorio. Dunque, l’Unione deve coordinarsi con i singoli Stati, disporre una equa loro partecipazione con precisi compiti, organizzazioni e costi, in relazione a tutte le fasi dell’accoglienza (soccorso in mare, scelta del porto, primo soccorso, riconoscimenti, distinzione tra immigrati da accogliere e immigrati da respingere, ripartizione in quote da assegnare ai singoli Stati per accoglimento finale e integrazione). Tale assegnazione di compiti va fatta tenendo conto delle diverse capacità partecipative, determinate da condizioni ed esigenze dei singoli Stati dell’Unione. Inoltre, l’Europa deve intervenire nei luoghi di fuga e nei Paesi attraversati dagli immigrati per eliminare progressivamente le cause del fenomeno e favorire l’accoglimento anche da parte dei Paesi attraversati. Questo compito comporta esborsi finanziari, ma non può limitarsi a semplici elargizioni finanziarie per ottenere la collaborazione di detti Paesi (non sempre fedeli alle promesse); infatti occorrono anche provvedimenti radicali di giustizia sociale sostenuti anche da aiuti internazionali. Provvedimenti che costituiscano comune risposta all’obbligo risarcitorio relativo allo sfruttamento coloniale e rimuovano le condizioni di miseria e di degrado generale attraverso infrastrutture, economia reale, occupazione e servizi. Compito di giustizia sociale planetaria che deve vedere anche la cessazione del persistente sfruttamento delle ricchezze del sottosuolo e delle terre ad esclusivo vantaggio delle multinazionali. Occorre che anche queste accettino la giusta ripartizione dei rendimenti in favore del personale locale che vi lavora e delle comunità dei territori interessati. E occorre che anche gli Stati, specialmente se membri dell’Unione, cessino di contrastarsi, con manovre più o meno appariscenti, per ottenere rapporti privilegiati nello sfruttamento delle ricchezze di quei territori. Questi conflitti devono cessare, per tutte le ragioni di solidarietà, cooperazione, interessi superiori e doveri di cui si è detto, e perché hanno notevole rilevanza nel fallimento ricorrente dei tentativi di gestione del fenomeno immigrazione. Funzionale alla cessazione di questi conflitti è certamente la nascita di una politica estera unitaria, collaborata da tutti i membri nell’interesse dell’Unione. Politica che oggi non esiste e che i poteri centrali devono avere la forza di creare. Inoltre, vanno decisamente combattute le indegne varie forme di sfruttamento e tortura che rendono doppiamente tragico il fenomeno dell’immigrazione. E anche sotto questo aspetto servono interventi realmente efficaci, possibili solo se tutti i membri dell’Unione siano determinati e solidali, capaci di ottenere consenso e collaborazione anche a livello internazionale. Non si può più permettere che nei centri di raccolta che precedono l’ingresso nell’Unione vengano usate forme indegne di violenza e tortura. Non si può accettare che gli immigrati siano costretti a corrispondere somme rilevanti, spesso frutto di sacrifici dei loro familiari, per poi essere avviati verso la morte in mare su mezzi stracarichi e destinati ad affondare; né deve essere possibile che il doveroso salvataggio in mare divenga, anch’esso, occasione di contrasti o di lucro. Stroncare questi fenomeni è dovuto e possibile; dunque, Unione e Paesi e istituzioni che si dichiarano forti e civili adottino tutti gli interventi che occorrono per stroncarli. Infine, è doveroso, oltre che opportuno, che accoglienza e integrazione diano il giusto rilievo alle attitudini e alle esperienze degli immigrati, immettendoli in adeguate attività lavorative, anche per colmare il vuoto di natalità e il conseguente invecchiamento sociale dei Paesi destinatari dell’immigrazione. Per gli stessi motivi, è tempo che l’Unione regoli in modo uniforme tutte le ipotesi e condizioni in cui debba riconoscersi la cittadinanza; particolarmente in favore dei tanti giovani che, oltre la nascita, possono vantare una significativa integrazione sotto gli aspetti scolastico, culturale e sociale.
Azione e rapporti dei movimenti scesi in piazza.
Le recenti manifestazioni di piazza vanno estendendosi in molte parti del pianeta e indicano come la società civile incalzi la politica perché provveda in tempo a riportare il clima e la giustizia sociale a condizioni di sostenibilità. Gli eletti al Parlamento europeo non possono astenersi dal dare pronta risposta per entrambi i problemi. Devono far conoscere il loro orientamento programmatico, i percorsi attuativi e l’urgenza con la quale intendano adottare i relativi provvedimenti. Trattasi infatti di intervenire su due emergenze gravi che minacciano l’intero pianeta, come sul piano ambientale dimostrano gli eventi climatici e come sul piano sociale indicano i conflitti economici e le crescenti turbolenze causate da povertà, discriminazione e ingiustizia sociale. Se l’insostenibilità continuerà a persistere, l’intero pianeta rischierà l’autodistruzione; per causa dei disastri ambientali o per una conflittualità sociale che potrà degradare l’intero sistema e determinare conflitti, ribellioni e guerre condotti con ogni arma e violenza, anche atomiche e cibernetiche. Dunque, la spinta che viene dal basso assuma coscienza di quanto la sua azione sia importante, per ottenere che la politica abbandoni remore e inadeguatezze, superi ogni resistenza e intervenga subito sui due problemi con provvedimenti adeguati, tempestivi ed efficaci.
Anzitutto, la piazza non deve fermarsi, anzi deve estendersi, coordinarsi e organizzarsi; infatti esistono esempi noti (es. i girotondini) di come la politica conservatrice, condizionata dai poteri economici basati sul sistema in atto, spesso lasci sfogare con promesse generiche le volontà innovative, in attesa che mancanza di organizzazione e stanchezza le addormenti e le elimini dalla cronaca. Dunque, la prima necessità è che la volontà sociale attiva cresca, ad ogni livello territoriale. Ma è anche essenziale che essa non perda il contatto con la base, con i luoghi e le persone che vivono in concreto i problemi e le preoccupazioni, poiché è da quei luoghi e da quelle persone che arriva la persistente manifestazione del disagio e la volontà di mantenere sempre attive la ribellione e la richiesta di azione innovativa. Pertanto, è certamente importante che il coordinamento e l’organizzazione pervengano a livello mondiale, come già ora si osserva nelle spontanee manifestazioni di piazza, ma è fondamentale la prima organizzazione, quella di livello comunale. Infatti, questo è il livello dal quale i rappresentanti e le organizzazioni di livello superiore, fino a quello planetario, possono attingere, e man mano comunicare ai livelli superiori, conoscenza effettiva delle esigenze e delle istanze della base, nonché legittimazione e forza per la loro azione rappresentativa.
Altra esigenza è che il movimento sociale sia sempre distinto dai partiti, ma abbia con le istituzioni pubbliche, dal livello comunale a quelli più ampi, un rapporto di comunicazione istituzionalizzato. Il movimento deve chiedere e le istituzioni devono creare un settore apposito che abbia il compito di tenere aperto il contatto con i rappresentanti di livello del movimento. Tale contatto deve stabilire un flusso continuo e reciproco, di conoscenza, di richieste e di risposte concrete. Dunque, questa esigenza deve realizzarsi a tutti i livelli, comunale, regionale, statale. E non può mancare anche nei programmi dell’Unione europea, come proprio livello e per curarne l’attuazione sia negli Stati membri che nelle più ampie organizzazioni internazionali. La politica, a tutti i livelli, ormai non può fare a meno di questo rapporto continuo e collaborativo con le espressioni della società civile, se vuole riconquistare credibilità e partecipazione nel compito di gestire problemi e prospettive nell’interesse comune. Interesse comune che deve essere cercato e individuato con riferimento a collettività sempre più ampie, fino a quella planetaria, come ormai esige l’interdipendenza, quella naturale che è nei beni comuni, come l’aria e il clima, e quella portata dalla globalizzazione.
Sostenibilità ambientale – Cambiamento climatico
La sostenibilità ambientale richiede interventi in molteplici settori, quali quelli relativi a trasporti, mobilità, fonti delle energie, territorio, agricoltura, foreste, fertilità dei terreni, mari e acque interne, biodiversità della flora e della fauna, trattamento e riutilizzo dei rifiuti, plastica, il bene acqua, inquinamento da satelliti in orbita. Settori e relativi specifici problemi che anche l’Unione europea deve esaminare e affrontare nell’interesse di tutti, sempre con la collaborazione e l’intervento costante della società civile. Ma giustamente ora le crescenti manifestazioni di piazza indicano come prioritario l’intervento sul cambiamento climatico e quindi sui settori che concorrono a creare questo problema; il quale sta andando verso il punto di non ritorno.
Dunque, l’urgenza richiede che intanto si individuino gli interventi che non presentano grosse difficoltà e rilevanti ripercussioni problematiche, da avviare subito. E certamente un’opera di sensibilizzazione generale e di specifica informazione, per ottenere tutti i possibili comportamenti individuali utili allo scopo, è possibile, importante e da avviare subito. Con l’accortezza di usare i mezzi informativi diversificati secondo le varie tipologie di destinatari. Intervenire sulla mobilità cittadina è un’altra esigenza che va affrontata subito, con determinazione; chiedendo ai Comuni non solo servizi di trasporto sufficienti e non inquinanti ma anche che l’intero territorio comunale venga esaminato, insieme ad esponenti della società civile, per individuare tutte le piste ciclabili da realizzare, anche con semplici strisce bianche e pochi lavori modificativi. Ma è essenziale che tali piste siano continue e collegate in modo che consentano di estendere il loro uso, compreso quello per la quotidiana attività lavorativa. Inoltre è opportuno che in esse sia consentito anche il transito ai piccoli mezzi di trasporto elettrici, quali monopattini e simili. Ciò consentirebbe una riduzione notevole dell’uso delle auto, una crescita notevole dell’uso di energia elettrica per i piccoli mezzi di trasporto e uno sviluppo della relativa industria. Inoltre, anche l’esigenza del servizio pubblico potrebbe ridursi e qualificarsi. Nel complesso, si otterrebbe una notevole riduzione dell’inquinamento legato al trasporto cittadino.
Per gli interventi che comportano innovazioni tecnologiche rilevanti e costose, come per le industrie che producono enormi quantità di CO2, necessita la creazione, preventiva, di apposite strutture che abbiano il compito di prendere in esame, con competenza, tutte le scoperte e le innovazioni scientifiche e tecnologiche che si susseguono a ritmo incessante a livello internazionale e che possono essere utilizzate per intervenire sui vari aspetti del problema ambientale. E data l’interferenza che porta ogni innovazione tecnologica a ripercuotersi sul piano del lavoro, dell’occupazione e quindi della giustizia sociale, occorre che la struttura tecnica sia connessa con altra struttura che prontamente intervenga su tali ripercussioni sociali. Infatti, anche queste devono essere gestite in modo che si risolvano in innovazione e crescita, provvedendo anche sulla formazione delle nuove competenze necessarie. Questa innovazione sul piano organizzativo è molto importante, indispensabile per superare l’atteggiamento attuale. Oggi, infatti, forse a causa della mancanza di una vera volontà politica innovativa, ogni scoperta scientifica e ogni innovazione viene ignorata, o vista e trattata in modo autonomo, come fatto episodico che esaurisce in sé la sua rilevanza. Mentre occorre che la conoscenza sia estesa, globale del flusso innovativo; e sia utilizzata per individuare e attuare tutte le applicazioni possibili, per una rapida soluzione dei gravi problemi ambientali esistenti. Le soluzioni esistono, ma bisogna volerle e cercarle. Sappiamo che nell’Unione europea ci sono, oltre i politici, molte persone addette a seguire vari aspetti degli interessi comuni. Ma gli esiti, particolarmente in ordine all’ambiente, vedono i risultati che, giustamente, hanno scatenato le piazze di tutto il mondo. Allora, è tempo che nell’Unione europea si dia il segno di una innovazione organizzativa che prometta una effettiva volontà di affrontare il problema del cambiamento climatico in termini nuovi, efficaci e tempestivi.
Giustizia sociale
Il problema della giustizia sociale, dunque, si pone con riferimento alle innovazioni occorrenti per risolvere i problemi ambientali, ma si pone anche in ragione dello sviluppo scientifico e tecnologico che interviene in tutti i settori, particolarmente quelli della robotica e dell’intelligenza artificiale che riducono il lavoro umano e creano disoccupazione. Ma sappiamo pure che il vero problema non è tanto di riduzione quanto di cambiamento di competenze e di attività richieste. Pertanto, il problema è di conversione, delle conoscenze e delle abilità; ed è su questo che bisogna intervenire, a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione.
E’ vero che le innovazioni nei settori dell’istruzione e della formazione richiedono tempo, ma questo è un valido motivo per provvedervi subito e adeguatamente. Purtroppo, la politica tendenzialmente non ama i cambiamenti che creano problemi attuali e soluzioni future ed è anche sensibile alle resistenze dei poteri economici e finanziari attualmente affermati. Pertanto essa preferisce tamponare le crisi del lavoro e dell’occupazione con interventi di carattere temporaneo e assistenziale, piuttosto che intervenire con urgenza e adeguatezza per adattare alle novità l’istruzione e la formazione e anche assecondare con sostegni fiscali lo sviluppo della conversione industriale. La conversione dell’industria, infatti, oltre a risolvere i problemi ambientali ha anche una sua grande potenzialità di sviluppo dell’economia, del lavoro e dell’occupazione.
Consegue che il movimento sociale, quello che reclama i cambiamenti ambientali, deve acquisire coscienza della connessione esistente tra interventi di sostenibilità ambientale, innovazioni scientifiche e tecnologiche possibili, problemi di giustizia sociale, conversione del sistema produttivo, necessità di innovazione nell’istruzione e nella formazione, potenzialità di sviluppo dell’economia reale, conseguenti condizioni di sviluppo dell’occupazione e di giustizia sociale. Dunque, la società civile deve chiedere alla politica di uscire dall’immobilismo, per curare adeguatamente tutti questi settori connessi tra loro; in modo che dai provvedimenti derivi un armonioso meccanismo innovativo che contemporaneamente risponda alle esigenze di sviluppo sostenibile nel campo dell’ambiente, dell’economia reale e della giustizia sociale. E’ un compito innovativo che richiede all’Unione europea notevole impegno finanziario ma certamente anche maggiore impegno per superare tutte le prevedibili resistenze di cultura e di interessi orientati al mantenimento dello stato attuale. L’esito elettorale recente autorizza a ritenere che l’Unione europea voglia e sia in grado di assumere il compito e di assolverlo secondo le aspettative indicate dalle piazze e dai movimenti sociali.
Ristabilire la sostenibilità per il clima risponde a un’esigenza per la sopravvivenza fisica dell’umanità; così come ristabilire condizioni di sostenibilità per il lavoro e l’occupazione risponde a una esigenza di giustizia sociale. E così come la sostenibilità ambientale ha tanti altri aspetti da curare, oltre quelli che attengono strettamente al clima, anche la giustizia sociale non esige soltanto lavoro, pur fondamentale per dare dignità alla vita umana, rilevando sotto numerosi altri aspetti. E anche di questi, dunque, i movimenti della società civile devono occuparsi, oltre i due argomenti essenziali e urgenti sopra esaminati. L’esito delle elezioni europee lascia sperare che l’Unione europea voglia anche approfondire la contrapposizione alla politica fatta di populismo e sovranismo e sia orientata a dare risposte concrete alle richieste sociali di conferma della democrazia e di quella giustizia sociale che il sistema economico in vigore non ha saputo realizzare ai livelli dovuti.
Giustizia sociale e sistemi politico-economici
Giustizia sociale significa anzitutto mettere ogni persona nelle condizioni di realizzare pienamente le proprie attitudini e capacità e quindi di partecipare alle attività lavorative, alla ripartizione dei redditi, alla azione pubblica, alla progressione sociale in ragione del merito, e ad una assistenza sociale che, nei casi di impedimenti non dovuti a responsabilità propria o sociale, comunque assicuri dignità umana. Tutto ciò non si è realizzato nel cosiddetto comunismo reale, che ha mortificato l’iniziativa privata; ma non si è verificato neppure col sistema capitalista. Infatti supremazia del capitale rispetto al lavoro e liberismo e speculazioni finanziarie hanno determinato una concentrazione di ricchezza nella disponibilità di pochi, molta povertà, crisi che dal piano finanziario si sono estese all’economia reale; creando recessione, disoccupazione e, per i giovani, il peso peggiore della situazione e la mancanza di prospettive per il futuro.
Dunque, la soluzione giusta è quella intermedia, di quel socialismo che è stato nelle etichette di partiti e di certa sinistra ma che in effetti non ha avuto mai modo di essere adottato nella politica e nei sistemi economici. Ora è il momento giusto perché ciò avvenga, poiché ormai si avverte l’esigenza di un sistema che concili l’iniziativa privata con la giustizia sociale. Infatti da un lato si è estesa la consapevolezza dell’inadeguatezza del sistema capitalistico e dunque dell’esigenza di modificarlo e d’altro lato si è anche compreso che tale modifica non può essere nei termini indicati da populismo e sovranismo. Pertanto esistono condizioni favorevoli, delle quali si ha conferma nei recenti progressi che, anche in Europa, hanno conseguito i partiti che hanno il socialismo nel nome e nei programmi., Allora è il momento giusto per approfittare dell’esito delle elezioni europee e delle istanze sociali che la piazza esprime. Dalle dichiarazioni programmatiche della nuova presidente della Commissione emerge l’orientamento a dare riscontro positivo alle innovazioni richieste dai movimenti sociali per salvare la democrazia, realizzare sostenibilità ambientale e giustizia sociale.
Dunque, queste convergenze, compreso il successo avuto anche dai verdi, autorizzano la speranza che finalmente l’Unione europea possa avere il coraggio e la forza di realizzare una radicale inversione di tendenza nei rapporti con l’ambiente naturale e nell’ambiente sociale. Compito certamente molto difficile, a causa delle resistenze da superare e molto complesso per tutte le innovazioni che si renderanno necessarie in molti settori. Ma le difficoltà potranno essere superate, se anche la società civile avrà modo di collaborare e, anzitutto, di far capire che ormai la cultura da lei espressa è imperante e che l’immobilismo conservatore ormai non ha motivo né modo di resistere.
Inversione del rapporto tra capitale e lavoro
Progressione nella valorizzazione del lavoro
I settori interessati alla giustizia sociale sono infiniti, poiché in tutti gli aspetti dell’attività umana si pone sempre l’esigenza che a tutti si offrano condizioni di pari opportunità. Per alcuni argomenti la rilevanza è notevole e di carattere generale. Così è per il sistema economico che, per rispondere all’esigenza di giustizia sociale, deve distinguersi dal sistema capitalistico, del quale deve ribaltare il rapporto tra capitale e lavoro. Giustizia richiede che il lavoro sia predominante rispetto al capitale. Infatti, è vero che il capitale partecipa alla produzione, ma è innegabile che l’artefice principale della produzione di ricchezza è il lavoro, inteso in tutte le sue forme. Realizza la produzione l’imprenditore, che intraprende un progetto e guida l’iniziativa economica; ma contribuisce anche il più modesto operaio, la cui attività lavorativa comunque è parte efficace e necessaria nel sistema produttivo dell’impresa. Ciò significa che coloro che si limitano a fornire il capitale finanziario hanno certamente diritto ad un compenso (interessi), poiché forniscono agli attori umani dell’impresa un mezzo indispensabile alla produzione. Ma non è giusto che essi abbiano la titolarità dell’impresa, facciano proprio il plusvalore, la ricchezza creata dai lavoratori, e a questi riservino solo un corrispettivo, contenuto il più possibile, quale costo che riduce il profitto. La pretesa del capitalista, di essere lui il “padrone” dell’impresa, è fondata sul fatto che sia lui a rischiare il capitale. Dunque, per consentire che il profitto vada ai lavoratori, in ragione della loro attività lavorativa, e al capitalista siano accordati solo interessi sul mezzo finanziario fornito, occorre che il rischio sul capitale venga socializzato, attraverso una garanzia pubblica. Il che non è una novità, infatti sono crescenti le occasioni in cui, per favorire alcune attività imprenditoriali, intervengono fondi pubblici a garantire la restituzione del capitale, sia esso pubblico o privato. Si tratta dunque di una esigenza già avvertita e limitatamente soddisfatta, da estendere e generalizzare; eventualmente prevedendo, ove il rischio sia più rilevante, un premio assicurativo a carico dell’impresa.
L’innovazione è radicale e profonda, pertanto sarà certamente ostacolata da resistenza culturale e da interessi contrari; ma essa corrisponde ad una esigenza di giustizia sociale che la rende legittima e necessaria. Dunque, bisogna farla conoscere e apprezzare e avviarla, senza remore. E ancora una volta sta alla società civile dare il suo sostegno e la sua pressione perché si realizzino i presupposti della sua affermazione, il superamento della prevedibile resistenza e la realizzazione degli infiniti effetti positivi che ne deriverebbero (si pensi, ad esempio, quanti giovani potrebbero superare l’angoscia dell’inattività ottenendo finanziamenti con garanzia pubblica per attivare un’impresa; e quanta riduzione avrebbero le speculazioni finanziarie sulle imprese, rese impossibili dalla regola che assegna il profitto a chi vi lavora).
Presupposti essenziali sono la formazione di fondi destinati alla garanzia e formazione di esperti per la valutazione dei progetti d’impresa. In attesa che siano le autorità pubbliche a realizzare tali presupposti, anche l’iniziativa privata potrebbe attivarsi; facendo appello alle banche e ai commercialisti per le valutazioni e costituendo fondi per la garanzia a mezzo di versamenti privati legati da solidarietà, effettuati da gruppi interessati ad aprire imprese con le nuove regole.
Comunque, le possibili tappe intermedie a difesa del lavoro vanno ugualmente difese e sostenute. Trattasi di estendere quei rari esperimenti che vedono una rappresentanza dei lavoratori nei consigli di amministrazione delle imprese, la loro partecipazione, anche se solo consultiva, alle decisioni importanti, la crescita di tutte le forme di assistenza quali asilo nido, trasporti gratuiti e simili. Naturalmente, il salario, finchè non viene sostituito dal reddito d’impresa, è di importanza fondamentale, e va difeso. In ambito europeo si accenna all’idea di un salario minimo fissato per tutta l’Unione. L’idea è da difendere, per la sua evidente valenza di giustizia nel rapporto tra impresa e lavoro; ma, data la diversità di tenore di vita esistente tra i vari membri, dovrebbero fissarsi valori diversi che risultino equivalenti in termini di potere d’acquisto. Anche questa innovazione subisce numerose resistenze, opposte da imprese, specialmente in campo agricolo e in quello del lavoro della gig economy, e dai sindacati. Ma le loro motivazioni non meritano consenso, se si voglia realizzare giustizia sociale in favore di ogni forma di attività lavorativa.
Altro aspetto di ingiustizia sociale, contro il quale la base sociale deve intervenire in sede europea, è costituito dalle enormi differenze che nelle retribuzioni si verificano man mano che si sale dagli operai verso le attività più qualificate. Infatti si assiste a progressivi aumenti retributivi esagerati rispetto al variare delle mansioni;. In particolare, ai massimi livelli dirigenziali vengono riconosciute somme che, rafforzate da compensi di vario tipo, raggiungono entità tali da costituire grave schiaffo all’esigenza della giustizia sociale. Dunque, si chieda alla nuova politica europea di intervenire anche su questa forma di ingiustizia, per ottenere che le diverse retribuzioni rispettino tra loro differenti percentuali corrispondenti ad effettive differenze di qualità e rilevanza (se il capitale vuole essere libero di dare ai suoi dirigenti massimi i compensi che ritiene opportuni, allora sia obbligato a rispettare percentuali differenziate di giustizia, rapportate a quei compensi, per le retribuzioni in discesa).
Altra ingiustizia da rimuovere è costituita dal divario che vede l’elemento femminile in minoranza nell’occupazione e discriminato sul piano retributivo; divario dovuto ai costi che per l’impresa derivano dalle tutele previste a seguito di matrimonio e maternità e da una residua cultura maschilista che ancora non riesce a riconoscere le attitudini e le qualità che distinguono l’elemento femminile. Quanto all’occupazione, certamente determinante potrebbe essere l’innovazione di socializzare i suddetti aggravi di costo. Per l’altro discrimine è possibile e dovuto imporre l’obbligo di parità di retribuzione a parità di mansione.
Oltre sistema economico e lavoro, determinanti e da sostenere sono le pari opportunità in ordine a istruzione e formazione; tanto più nei tempi attuali che, come visto sopra, richiedono adeguamento alle nuove conoscenze e abilità richieste dall’evoluzione della scienza e della tecnologia. Quanto all’istruzione è importante che venga assicurata fino ai livelli universitari e di specializzazione a tutti, prevedendo i sostegni e le gratuità necessari a questo fine. Inoltre, a livello universitario devono sparire i “baroni” e bisogna assicurare i dovuti riconoscimenti, sia retributivi che di stabilità e di titolarità delle ricerche, ai dottorandi, dottorati e ricercatori. Così come deve essere contrastato il nepotismo ed essere assicurato il reclutamento secondo esigenze e competenze in ordine agli insegnanti. E quanto alla formazione è importante che sia non solo estesa e qualificata, ma sia anche continua e garantita anche nell’ambito dell’impresa, dove ogni lavoratore deve potersi aggiornare, qualificare e avere cognizione di tutte le altre mansioni, oltre la sua. Inoltre, la formazione non deve essere intesa soltanto in senso lavorativo e pertanto deve essere assicurata anche a tutte le conoscenze, le esperienze e i contatti che hanno valenza formativa, quali letture, viaggi, attività sportiva, fruizione dei beni artistici e simili. Momenti formativi che spesso sono negati, in particolare ai giovani delle periferie, per difficoltà economica, mancanza di inclusione e anche per mancanza della cultura che li promuove.
Disuguaglianze e ricchezza
L’esigenza di contrastare le disuguaglianze e assicurare la giusta distribuzione della ricchezza richiede interventi anche in altri settori, nei quali l’azione degli eletti al Parlamento europeo deve essere determinata e capace di superare tutte le resistenze che finora sono sostanzialmente prevalse. Trattasi dell’evasione, della corruzione, riciclaggio, paradisi fiscali, privilegi di vario genere, e anche delinquenza organizzata. Trattasi di immense disponibilità finanziarie che occorrono per consentire investimenti in infrastrutture, sviluppo dell’economia reale e conseguenti rapidi ed efficaci interventi di giustizia sociale, in ambito nazionale e internazionale. E’ tempo che su questi argomenti si smetta di limitarsi a vaghe promesse, smentite da reali comportamenti che finiscono col tutelare gli interessi alla conservazione del sistema. Dunque, l’azione sociale deve richiedere e ottenere che non solo questi flussi di enorme ricchezza, ma anche la ricchezza illegalmente già accumulata, siano portati nella disponibilità del patrimonio sociale. Compito molto difficile, poichè le resistenze si annidano anche nei sistemi che dovrebbero attuarlo, ma possibile, se alla forte azione della società civile risponderà, coesa, quella parte di politica che si dichiara innovativa e determinata.
Rapporti internazionali dell’Unione europea
Non può, infine, mancare un accenno all’attività internazionale, che finora è stata ritenuta di rilevanza secondaria, mentre occorre che nell’Unione europea assuma una chiara e unitaria determinazione di orientamenti e un ruolo da sviluppare in sede internazionale. Orientamenti e ruolo che devono tendere anzitutto alla soluzione pacifica di ogni conflitto, economico, etnico, militare, di prestigio o di qualunque altro motivo che possa determinare instabilità e guerre. Il ruolo da assumere deve essere determinante per l’eliminazione di ogni tipo, palese o mascherato, di colonialismo, di sfruttamenti, di ingiustizie di ogni tipo e gravità. L’Unione deve diventare esempio di rapporti internazionali qualificati dalla cooperazione nell’interesse comune, e deve attivarsi perché attraverso cessione di sovranità si formi al più presto un ente, l’ONU innovata o altro ente, con poteri sovranazionali che gestisca nell’interesse comune i tanti gravi problemi che l’interdipendenza rende planetari e non suscettibili di soluzioni individuali. Quanto alla Brexit, la storia indica che l’Europa e il Regno Unito oggi hanno molti interessi e ragioni per rimanere uniti. Pertanto è augurabile che il cambio di volontà popolare, già in atto, acquisti la dovuta rilevanza attraverso nuovo referendum.
Conclusione
In conclusione, questo programma vuole essere un apporto di solidarietà e di sostegno alle manifestazioni sociali insorte a livello planetario in favore del clima, della sostenibilità ambientale e della giustizia sociale. Inoltre vuole cogliere l’occasione e l’ottimismo autorizzato dall’esito elettorale europeo e dalle incoraggianti dichiarazioni programmatiche della nuova presidente della Commissione per indicare le conseguenti aspettative e possibilità innovative di un coerente sviluppo dell’azione sociale e della politica europea. Pertanto, il programma viene inviato ai movimenti che manifestano nelle piazze, particolarmente a quello denominato fridaysforfuture, nonché alla nuova presidente della Commissione e al presidente del nuovo Parlamento.
Vincenzo Vanda
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