NEI MIEI 87 ANNI
Sono nato a Messina, il 15 marzo 1934; dal settembre del 1950 vivo a Roma.
Dei miei primi anni ricordo poco; giusto i giochi, che erano quelli, generalmente di strada, dei bambini di allora, di famiglia operaia (mio padre linotipista al quotidiano di zona). Dei primi anni di scuola ricordo, alle elementari, anzitutto la figura del mio insegnante; mi è rimasta ancora impressa e ricordo che quando, dopo alcuni anni, lo incontrai e lui non si ricordò di me, provai forte delusione e dispiacere.
Come alunno sono stato bravo, in tutti i cinque anni dell’elementare, riportando alla licenza di 5° ben cinque 10 e tre 9. Ma non ero il classico secchione; anzi, ricordo che ero il capo dei miei compagni di classe e all’uscita lottavo col capo di un’altra classe: ricordo ancora quanto facevano male i pugni dell’avversario, anche se i miei non erano da meno.
Intanto in quei periodi era scoppiata la guerra e Messina veniva bombardata giorno e notte. Si andava negli scantinati come ricovero e ricordo che, al cessato allarme, con i miei fratelli andavo a raccogliere le schegge ancora calde delle bombe. Temendo il peggio, ci trasferimmo al Serro, un paesino vicino Messina, in collina, ospiti di una mia zia, che lì aveva un’ampia casa, terreni e anche una bella mucca, mite, di nome Nina. Nella permanenza in questo paese ho imparato ad amare la natura, respirare il verde e i profumi della campagna, rispettare gli animali; non solo Nina, paziente nel darci il latte, ma anche un somarello, che apprezzava le mie carezze ma si divertiva a mettermi paura marciando sempre ai margini dei burroni. Ma il coraggio non mi mancava, anzi mi piaceva mettermi alla prova, avventurandomi lungo precipizi o arrampicandomi su alberi difficili, come quello di carrube, impegnativo per la ridiscesa; per poi sentire orgoglio e autostima all’esito positivo di ogni impresa.
Ma in quel periodo ho fatto anche altre esperienze, pure gratificanti, ma oggettivamente meno meritevoli. Transitavano in quella zona militari italiani e tedeschi che si spogliavano delle divise e abbandonavano camion pieni di ogni tipo di armi e munizioni. E’ così che allora ho imparato ad estrarre la polvere da sparo dai proiettili, per farne fuochi d’artificio, a sparare col moschetto e persino lanciare bombe a mano. Incoscienza giovanile. E quando, poi, si sono attestate nelle vicinanze le truppe americane, ho conosciuto un italo americano che mi faceva sparare con la sua pistola. Per fortuna anche questo tipo di esperienze si è concluso senza danni.
Tornati a Messina, la situazione è diventata meno formativa e interessante. Casa nostra distrutta dalle bombe, distrutto anche lo stabilimento tipografico e quindi mio padre disoccupato, noi ospiti di una famiglia, con disagi di convivenza e fame. Ricordo che con i miei fratelli litigavamo su chi avesse diritto ad andare a prelevare il pane con la tessera; infatti chi andava aveva diritto a mangiarsi, lungo la strada, il pezzetto di pane che ne completava il peso. Ma non manca un ricordo positivo: un militare inglese, marinaio, che soffriva tanto la lontananza dalla famiglia, si era affezionato a noi e veniva la sera a cena… con la carne e i prodotti che portava.
Comunque, anche i tempi bui piano piano passano e ti accorgi che ti hanno dato esperienze, capacità di sopportazione e tanta voglia di lottare per il miglioramento. Casa nostra venne ricostruita, mio padre ricominciò a lavorare, io frequentai i tre anni della media, riconfermandomi come studente modello. Ricordo che ero particolarmente bravo in italiano e i miei temi venivano letti nella scuola come esempio. Ma anche nelle altre materie andavo bene e alcuni dei compagni di classe venivano da me a fare i compiti, perché dicevano che capivano meglio che a scuola. E ricordo in particolare che ad uno di questi compagni, che soffriva la fame in famiglia, offrivo sempre le polpette fritte; e lui ne mangiava tante, con mio imbarazzo quando mia madre scopriva il magro residuo. Io conclusi la licenza di scuola media con 8 in tutte le materie.
Intanto, avevo 12 anni quando cominciai la mia attività sportiva, che poi è proseguita sempre, in varie forme, e persiste tuttora. Iniziai con la ginnastica artistica, risultando subito molto adatto, tanto che l’istruttore mi promise che, se fossi stato assiduo, mi avrebbe portato alle olimpiadi. Ho amato questo sport e lo amo ancora: mi emoziono solo che veda uno dei quattro grandi attrezzi in una palestra; ma l’ho amato come mia attività sportiva e non con velleità di agonismo. Pertanto l’ho frequentato nei limiti di questa mia esigenza e compatibilmente con gli altri miei interessi; tutti da coltivare, ma, per mio modo di essere e per amore essenziale di libertà, nessuno di essi ritenuto degno di diventare assorbente ed esclusivo. Ho continuato a frequentarne la palestra anche quando, a 16 anni, mi sono trasferito a Roma, prima col prof. Urbani, ex olimpionico, e poi presso la Borgoprati. E quando, verso i miei 35 anni, l’età mi ha sconsigliato i grandi attrezzi, ho continuato, ogni mattina, a fare ginnastica in casa; mantenendo questa sana abitudine anche quando sono passato ad altri sport, e fino ad oggi.
Gli altri sport frequentati attivamente sono stati lo sci da discesa, dai 40 anni, ad ogni inverno, con buona abilità, almeno fino al 2019; il tennis, praticato regolarmente dopo la ginnastica artistica e abbandonato verso i 50 anni, indotto da un gruppo di amici a passare alla corsa. Durante le vacanze estive ho imparato bene lo sci d’acqua, mentre non sono stato bravo nei tentativi di windsurf. Quanto alla corsa sono passato man mano dai piccoli allenamenti alle gare, dei 5 Km, di 10; poi le mezze maratone (tante Roma/Ostia), con buoni risultati e coppe; a 62 anni la prima maratona, quella di New York, col tempo di 4 ore e 9 minuti; l’anno dopo il mio miglior tempo, di 3 ore e 53 minuti nella maratona di Berlino, e così di seguito, una l’anno, 7 in tutto. A 74 anni gli esperti del campo mi hanno indotto ad abbandonare i “lunghi” per passare alla pista e già al mio primo campionato italiano ho preso la medaglia, mi pare di bronzo, nei 1500. L’anno successivo, con i miei 75 anni, sono stato, nella mia categoria dei master, il campione italiano dei 400. Da allora ho sempre partecipato ai campionati italiani sia indoor che all’aperto nelle misure 400, 200, 100, 60 e staffette e sempre sono salito sul podio, spesso come campione italiano; questo, fino al 2021 (argento nei 400 e oro nel salto in lungo). Nel 2014 ho partecipato con due gare al campionato mondiale di Budapest ed ho preso argento negli 800 e bronzo nei 400. A livello regionale posso dire di non aver avuto mai avversari temibili, e spesso, per questo motivo, mi sono astenuto dal partecipare ai relativi campionati. Tanto successo sportivo in età avanzata mi ha dato, certo, soddisfazione e orgoglio, ma l’ho anche avvertito come condizionante, perché finisci con l’appartenere alle aspettative di famiglia, parenti, amici e la tua squadra: una piccola perdita di libertà.
Tornando alla vita scolastica, negli anni successivi alla media sono stato meno bravo, interessato più intensamente ai rapporti più o meno amorosi e, in generale, ad una vita meno ubbidiente e aperta di più a rapporti esterni alla scuola. Sia in 4° ginnasio che in 5° ho dovuto riparare in qualche materia.
Tale momento, caratterizzato da crisi e desiderio innovativo, si è aggravato a seguito, e anche a causa, del trasferimento a Roma, nel settembre del 1950. Iscritto al 1° liceo, al Tasso, sono diventato insofferente; vedevo la scuola come una specie di prigione, che impediva una vita più libera, aperta a nuovi contatti ed esperienze da maturare in un rapporto quotidiano più libero ed esteso nell’ambito pulsante del sociale. Decisi pertanto di abbandonare la frequenza; e abbandonai, nonostante i tentativi dei miei genitori, e anche di alcuni insegnanti, di farmi recedere dalla decisione presa.
E’ seguito pertanto il periodo nel quale ho gestito il preteso acquisto di libertà. Periodo di sofferenza, in realtà fatto, piuttosto che di contatti ed esperienze, di domande, riflessioni, ricerca di valori, di significati, di scopi; che andavo annotando, in un diario sempre più ampio, ma in una situazione di sempre più ampia solitudine.
Pervenni alle evidenze: la società non è organizzata in modo da offrire occasioni formative e realizzative ad un giovane che ancora non sa bene cosa vuole essere, cosa diventare e cosa fare; se non sei determinato, la società ti offre i percorsi che lei ha organizzato per te, l’istruzione nella scuola da lei predisposta e la formazione nell’ambito dei rapporti sociali con i compagni, con gli insegnanti e quant’altro è connesso col mondo scolastico. Compresi che quella pretesa libertà acquistata, fuori dall’ambito scolastico non era vera libertà, rimaneva priva di poteri e di percorsi realizzativi e mi stava portando ad un avvitamento attorno a me stesso, in condizione di isolamento crescente e improduttivo. Compresi che quanto predisposto dalla società, anche se non del tutto sensibile e rispondente a quanto, oltre l’istruzione, occorra ad un giovane, è comunque l’unica strada che, anche attraverso l’istruzione e con l’inserimento in quel mondo sociale costituito dal rapporto con gli insegnanti e con i compagni, ti aiuta a crescere, confrontarti, conoscerti, fare scelte, comprendere quali sono i tuoi interessi, i valori, le tue aspirazioni per il futuro.
Pertanto, tornai alla vita scolastica; che mi consentì il reinserimento nel gruppo dei compagni, la sintonia particolare con alcuni di essi che diventarono gli amici anche del dopo liceo; mi consentì di acquisire la conoscenza offerta dall’istruzione, e anche la maturazione conseguita alla qualità speciale degli insegnanti, capaci di stimolare, in ogni materia, la riflessione per andare, oltre la nozione, alla sostanza, ai significati, alle implicazioni meno appariscenti. Così, nel ‘53, ho conseguito il titolo della maturità.
Non ebbi dubbi, nella scelta di iscrizione alla facoltà di giurisprudenza: tutte le esperienze e riflessioni maturate mi portavano a dare enorme importanza al diritto positivo, quale strumento fondamentale del regolamento dei rapporti sociali, capace di creare giustizia e libertà, ma anche di essere usato come arma di violenza e ingiustizia sociale. Riflessione che da allora in poi è stata la mia stella polare, anche quando, come avvocato, ho dovuto gestire conflittualità giudiziali apparentemente ben lontani dal coinvolgere il diritto in quella sua funzione essenziale.
Le motivazioni suddette mi hanno indotto ad essere nuovamente uno studente bravo, riportando voti alti in quasi tutte le materie.
Ma durante gli studi universitari, difficoltà economiche della famiglia hanno richiesto il mio apporto finanziario. Così per un certo periodo ho fatto l’operaio, lo stesso lavoro di mio padre: dopo una breve preparazione ho lavorato come linotipista, in una tipografia, in un vicolo all’inizio di Via Nazionale. Ma questa attività si svolgeva di notte, e certamente la perdita di sonno metteva in difficoltà la preparazione agli esami; pertanto mio padre mi fece smettere.
Mio padre riuscì a trovarmi un impiego di giorno, in una impresa milanese che aveva attivato un capannone a Roma, nei pressi della Piramide. L’attività consisteva nella composizione di concimi chimici, da vendere nelle campagne vicine. Quando fui assunto, la struttura mancava ancora degli operai addetti alla fase di misurazione dei componenti, miscelazione, riempimento dei sacchi e loro caricamento sui camion. Mansione per persone di buona muscolatura, poche pretese e capacità anche di sopportare le esalazioni delle miscele; non facile trovarle. Il dirigente, inesperto di zona, era in difficoltà ed io presi l’iniziativa di offrirmi per la ricerca: avevo avuto modo di vedere, alla stazione Termini, alcune persone, cosiddetti facchini, che si contendevano i clienti per il trasporto di bagagli pesanti. Pensai a loro. Ebbi l’incarico. Andai, proposi ad alcuni di loro l’attività, accettarono con entusiasmo, pagai anche per loro il biglietto in tram, li assunsero tutti. Di conseguenza fui messo a capo della struttura operativa, con la mansione di controllarne ogni operazione e, cosa che preoccupava molto, di evitare i probabili conflitti, litigi e risse violente che avrebbero potuto svilupparsi tra quei forzuti operai. Riuscii a farmi rispettare da loro, a stabilire con ognuno un rapporto di conoscenza, reciproca stima e simpatia; e ciò mi consentì di controllare e smorzare sul nascere i loro conflitti e mantenere la produzione alta e corretta. Ciò mi procurò, anche in ragione della mia giovane età, apprezzamento e riconoscimenti, nonché l’offerta di trasferirmi presso la loro sede centrale in Milano, dove sarei stato inserito in mansioni e retribuzione di altro livello. Rifiutai e mi dimisi, perché non avrei mai abbandonato i miei studi universitari scelti e, quanto all’esigenza di aiuto finanziario alla famiglia, avevo intanto vinto un concorso, modesto, ma sotto ogni aspetto più opportuno ai fini delle diverse mie necessità del momento.
Così, dal maggio del ‘58, ho iniziato la mia nuova attività presso il Ministero degli Interni, come impiegato di gruppo C. Durante gli anni di questa attività continuai a preparare e sostenere esami e, sospendendola temporaneamente, svolsi anche il servizio militare, dal ‘59 al ‘61. Inoltre, in un breve periodo – non ricordo esattamente quale – ebbi modo di fare una nuova esperienza: conoscere la massoneria. In realtà questa esperienza fu molto limitata; infatti ero stato incuriosito molto dalla descrizione che il proponente, un mio compagno di liceo, mi aveva fatto del rito dell’iniziazione, e in qualche misura interessato agli argomenti di cultura che, secondo il mio amico, avrebbero caratterizzato l’attività della loggia. Soddisfatta la curiosità, e appurato che gli argomenti delle sedute non rispondevano alle mie aspettative, non ritenni che l’esperienza e dedizione di tempo meritassero di essere ancora portate avanti, e pertanto smisi definitivamente di frequentare e di ritenermi appartenente alla massoneria.
Quanto al servizio militare, pur contando, come tutti i costretti alla leva obbligatoria, i giorni mancanti alla liberazione, non ho opposto resistenza mentale ed ho cercato di coglierne i possibili aspetti positivi, come lo stabilire rapporti di amicizia con alcuni dei commilitoni, conoscere nuove località e ricevere apprezzamento per quanto riuscissi a fare bene. La fase più soddisfacente è stata quella del periodo di nomina come ufficiale, svolta ad Ascoli Piceno, al comando di un plotone di aspiranti ufficiali di un successivo corso. Gestii l’esperienza del potere e del comando secondo i miei intendimenti, riuscendo a creare buoni rapporti con gli allievi, con i collaboratori (i sergenti) e i superiori. Forse l’impresa che più fu apprezzata dal capitano della mia Compagnia fu quella, consentitami dal fatto che in quel periodo ero allenato in ginnastica artistica, di allenare la squadra della Compagnia per la gara di fine corso sul percorso di guerra e regalare al mio capitano alpino per la prima volta la vittoria che negli anni precedenti era stata sempre conquistata dalla Compagnia del capitano bersagliere. Questo risultato forse fu determinante nell’esaltare la stima e l’apprezzamento da parte del mio capitano; il quale mi invitò – ma inutilmente – a rimanere nel servizio militare e mi pose in congedo con giudizio positivo ed elogio.
Terminato il periodo di leva ho potuto dedicarmi agli ultimi esami e alla tesi che, in diritto privato, mi era stata assegnata, con l’argomento “L’atto di disposizione dei beni futuri”. E così, nel luglio del ‘62, ho conseguito la laurea in giurisprudenza.
E’ stato un momento di grande soddisfazione: l’assistente mi aveva seguito per la tesi senza suggerirmi alcuna modifica; alla discussione, il titolare, prof. Rosario Nicolò, la illustrò complimentandosi molto per il modo in cui l’avevo sviluppata; il punteggio di laurea fu il 110 e subito dopo l’assistente mi comunicò che il professore mi richiedeva come suo assistente. Accettai, felicissimo, e orgoglioso di quanto mi stava accadendo: io, figlio di operaio, entravo a far parte di un gruppo di giuristi prestigiosi, quali erano l’allora assistente Stefano Rodotà e gli altri, tutti provenienti da famiglie di altro livello sociale.
Nello stesso giorno della laurea presentai, al Ministero, la mia lettera di dimissioni dall’impiego; rinunciando, tra l’altro, alla possibilità che mi era stata prospettata, di passare dal gruppo C al gruppo B senza neppure dover partecipare a concorsi, solo accettando il trasferimento in altra città. Ma ormai, per me, l’impiego statale aveva finito il suo compito di semplice sostegno economico e finalmente potevo e dovevo svilupparmi nell’ambito del diritto, secondo le scelte e le motivazioni che mi identificavano.
Sono stato assistente volontario del prof. Nicolò fino all’ottobre del ‘75; ma, anche in questo periodo, non ho potuto svolgere l’attività in modo esclusivo, nonostante avessi avuto conferma della mia attitudine alla speculazione scientifica nel campo del diritto. L’attività, oltre la borsa di studio accordatami a seguito della nomina, non era remunerata, e le mie esigenze economiche non erano cessate. Anzi, si erano acutizzate col venir meno dello stipendio. Pertanto ho dovuto, contestualmente, avviarmi anche alla professione di avvocato: esami da procuratore, abilitato all’esercizio dal dicembre ‘64, avvocato dal gennaio ‘71.
Ma anche questo percorso non è stato facile, né ha risposto subito all’esigenza economica; infatti, ero comunque figlio di un operaio, che non mi trasmetteva né esperienza professionale, né uno studio, né clienti, né contatti con persone ed enti di buona finanza che potessero richiedere la mia assistenza. Pertanto, ho dovuto, man mano, costruire la mia clientela col passaparola, partendo da zero e con incarichi iniziali di modesta entità. Addirittura, per accelerare l’esperienza che mi rendesse autonomo non accettai il modesto compenso che mi offrivano per avermi in aiuto in uno studio e conclusi l’accordo nel senso che avrei collaborato gratuitamente ma avrei scelto io i momenti e le procedure processuali sulle quali intervenire, in modo da acquisire più rapidamente la necessaria competenza, e inoltre avrei avuto spazio e aiuto per gestire i primi incarichi. E devo ricordare (ahimè) che nei primi tempi addirittura, per gestire spese e necessità, svolsi contemporaneamente le attività di vendita di libri e di informazioni da richiedere presso famiglie che chiedevano prestiti. Progressivamente, fui in grado di avere un mio studio e di pervenire ad un successo professionale soddisfacente, che mi ha dato una buona economia. Ho chiuso l’attività nel gennaio del 2017.
Non altrettanto soddisfacente è stato l’andamento della mia attività scientifica presso l’Università. Inserito bene nel rapporto con i colleghi assistenti, ho partecipato attivamente agli impegni e alle esperienze richiesti dal titolare, approfondendo notevolmente le mie conoscenze in campo giuridico; ma progressivamente la mia dedizione è stata sempre più sacrificata in favore dello sviluppo dell’attività di avvocato, che mi dava le necessarie disponibilità finanziarie. All’iniziale orgoglio per la chiamata da parte del prof. Nicolò è subentrata, nel tempo, la considerazione di quanto siano rilevanti, oltre le attitudini, la tua posizione sociale e le disponibilità economiche: col sistema attuale il successo in campo universitario, se lo meriti, può anche arrivare, ma comunque dopo molto tempo, durante il quale devi poterti dedicare in modo esclusivo, non distratto da esigenze economiche. Questa è la riflessione che, suggeritami dagli eventi vissuti, è diventata una forte motivazione contro ogni forma di discriminazione e in favore della giustizia sociale.
Devo concludere che se le esperienze giovanili mi hanno educato ad amare e rispettare la natura, in tutte le sue componenti, le esperienze successive mi hanno indotto ad avvertire in termini sempre più coinvolgenti l’esigenza che la componente umana usi il diritto per regolare i rapporti sociali secondo giustizia sociale da assicurare ad ogni persona.
Queste determinazioni hanno dato l’impronta alle altre esperienze e iniziative che ho attivato durante il periodo professionale.
Il desiderio di comunicare ai giovani questa importanza del diritto e la sua rilevanza nella qualificazione dei rapporti sociali mi ha indotto a sperimentare l’insegnamento ai giovani, nella scuola. E così ho avuto l’esperienza dell’insegnamento, per tre anni, dal ‘90 al ‘93, presso un istituto tecnico. I ragazzi certamente erano più interessati alle materie professionali, ma ciò non fu di ostacolo. Trovai inaspettata sensibilità per il diritto, e ottenni un ottimo grado di apprendimento. Con grande soddisfazione ne ebbi conferma, oltre che dai riconoscimenti degli altri colleghi insegnanti, quando, dopo qualche tempo, incontrai in Tribunale un mio ex allievo, al quale chiesi come mai si fosse indotto a fare l’avvocato, nonostante gli studi tecnici, e lui rispose: la colpa è sua, perché lei mi ha fatto amare il diritto. Dopo i tre anni di insegnamento mi venne offerto, ufficialmente, di passare come insegnante di ruolo; rifiutai.
Nel luglio del ‘91 io e un amico, ex compagno di liceo, socialista praticante e anche in parte deluso, insieme ad altri conoscenti, desiderosi di giustizia, fondammo l’associazione “Socialità e Diritto”. L’idea fondamentale, rispondente alla formazione alla quale ero ormai pervenuto, era questa: la convivenza comporta la nascita di un contratto sociale, le cui regole, fissate dal diritto positivo e determinati in funzione della giusta convivenza, devono trovare piena ed esclusiva applicazione nei rapporti tra i cittadini e, particolarmente, tra questi e le varie autorità pubbliche. Dunque, mettemmo la nostra azione in aiuto a quanti si rivolsero a noi per lottare contro qualunque forma di discriminazione, di ingiustizie e, particolarmente, di corruzione nella Pubblica Amministrazione che si risolveva in danno sociale e, spesso, prevaricazione nei confronti di veri diritti soggettivi altrui.
Io presidente e il mio amico segretario, l’associazione portò avanti l’azione per parecchio tempo, con risultati di piena soddisfazione. Poi, nel tempo, la reazione delle “Autorità” infastidite cercò di colpire al cuore, e anche il segretario, dirigente in Provincia, a causa della sua denuncia di gravi irregolarità riscontrate nella gestione di appalti, entrò in un conflitto che prima gli procurò ingiuste emarginazioni, ma alla fine si risolse con sua vittoria in sede giudiziaria, e dovuti risarcimenti. Questo conflitto, protrattosi per molto tempo, divenne assorbente dell’attenzione degli associati, e ciò purtroppo determinò il lento esaurimento dell’azione di richiamo e di assistenza verso l’esterno, fino alla chiusura dell’iniziativa.
Sempre teso ad esperienze nelle quali dare un mio apporto in funzione sociale, invitato da colleghi avvocati, entrai a far parte dei Lions, per conoscere e partecipare all’azione, di cui mi dicevano, sussidiaria e di stimolo culturale. Nel periodo degli anni ‘97/’98 sono stato presidente del club Roma Accademia. In tale qualità ho organizzato due convegni. Il primo, “Verso la società multiculturale. Immigrazione: occasione o problema?”, voleva stimolare la presa di coscienza di un momento evolutivo della società, e di riflessione da un lato sulle conseguenze organizzative, di ricezione e inserimento e d’altro lato sulle opportunità offerte dalla possibile, importante, reciproca integrazione in ambito sia culturale che lavorativo; oltre all’aspetto, comunque positivo e dovuto, di aiuto alle popolazioni in movimento per le gravi condizioni esistenti nei loro Paesi. Il convegno ebbe molto successo, e non soltanto in ambito lionistico, infatti l’argomento risultò di interesse generale e procurò la presenza di molte ambasciate, nonché la partecipazione di esperti qualificati quali il sociologo e pedagogo prof. Alessandro Baldi e la dottoressa Vaifra Palanco del dipartimento affari sociali della Presidenza del Consiglio.
Con l’altro convegno, dal titolo “Memoria e Impunità”, colsi l’occasione della convocazione a Roma dell’assemblea internazionale, disposta dall’ONU, per la creazione del Tribunale penale per tutti i crimini di guerra. La presiedeva il prof. Giovanni Conso. Il mio intento fu quello di mettere a confronto l’esigenza di non dimenticare, processare e punire, con la sensibilità per valori, quale il perdono, ed esigenza di conciliazione, che possono indurre all’impunità. Anche questo convegno ebbe successo e partecipazione rilevanti. Riuscii infatti ad avere la partecipazione del prof. Conso, al momento massima espressione dell’esigenza punitiva, e dell’avv. David Tolbert, presidente del Tribunale per i crimini nell’ex Jugoslavia, e d’altro lato la partecipazione di Max Coleman, autore di un libro sulla apartheid e direttore del comitato per i diritti umani nella commissione per la verità e la riconciliazione che in Sudafrica realizzò lo storico episodio di impunità e conciliazione. Oltre la partecipazione al convegno il prof. Conso, all’esito dell’assemblea da lui presieduta mi rilasciò una lunga intervista, che venne pubblicata nel mensile dei Lions. Dopo qualche anno, ritenni conclusa anche questa esperienza, ed ho abbandonato i Lions, nonostante la resistenza dei miei amici.
In altre esperienze sono stato, in ambito universitario, collaboratore nell’attività didattica e scientifica delle cattedre di Istituzioni di Diritto Pubblico e di Diritto della Informazione della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza; e, in ambito consiglio dell’ordine degli avvocati, componente dell’esecutivo della Consulta per la Giustizia Europea dei Diritti dell’Uomo.
E, nei sei anni dal 1998 al 2004, sono stato, come GOA, giudice onorario nel Tribunale di Roma, stimolato a tale funzione, ed esperienza, da un giudice amico che stimava molto la mia preparazione giuridica e collaborava col Presidente nella formazione di una schiera di avvocati per l’eliminazione dell’enorme arretrato che si era formato. Venni assegnato alla seconda sezione, riservata a procedimenti di importi economici e complessità molto elevati.
L’esperienza mi rivelò la netta differenza del procedere del giudice rispetto al compito dell’avvocato: quest’ultimo ha un punto di arrivo determinato (quello che, in diritto, dia ragione al proprio cliente), mentre il giudice parte da una pagina bianca, che lui va riempiendo con la successione di suoi giudizi, i quali determinano la linea che porta alla valutazione finale. Necessità, pertanto, per il giudice, di tenere conto di questa rilevanza che ogni sua valutazione ha nella determinazione dell’ambito delle successive sue indagini. Inoltre, ebbi esperienza diretta della necessità che i processi si concludano in tempi brevi. Infatti, i processi assegnatimi avevano tutti notevole anzianità; alcuni addirittura iniziati venti anni prima e in parte istruiti da giudici diversi che si erano succeduti nel tempo. Anzianità che non consentiva certo di richiamare testimoni o innovare la linea di indagini che era stata seguita in precedenza. E questo mi ha rafforzato nel convincimento che gli interventi sulla procedura del processo e sulle disponibilità di personale e di supporto non possono consistere in piccoli emendamenti, dovendo assolutamente ottenere che lo stesso giudice iniziale porti a termine il processo e il suo svolgimento duri un tempo breve, oltre il quale si rischia di elargire più ingiustizia che la giustizia dovuta. Convincimento, questo, che ha improntato i miei interventi, anche recenti, sulle innovazioni occorrenti.
Le esperienze vissute, l’individuazione conseguente di valori e di emergenze, e la motivazione sempre più determinata a contribuire all’azione per un mondo migliore, nonché l’esigenza di un intervento diretto della società civile per porre rimedio alla incapacità della politica e alle conseguenti crisi in atto, mi hanno indotto, nel 2009, a scrivere il libro “Dalle crisi ad un mondo migliore: con la società civile”; ho aperto un blog con la denominazione, appunto, di “civilsocietyleading.com”, vi ho riportato il libro, scaricabile liberamente, ed ho sperato che la società civile accogliesse l’invito ad attivarsi per realizzare quel mondo che vi avevo descritto. L’ho anche inviato a vari personaggi di alto livello in campo sociologico, filosofico ed economico. La speranza è rimasta sostanzialmente delusa, certamente perché non ebbi modo di attuare una comunicazione idonea, con i mezzi telematici ormai divenuti necessari; e forse anche perché l’indicazione di valori, mete e provvedimenti non aveva sufficiente specificazione. Furono di conforto, in particolare, gli apprezzamenti che mi comunicarono, tra i personaggi illustri, l’Arcivescovo Desmond Tutu e l’economista e filosofo R. K. Pachauri.
La convinzione che occorresse una descrizione più dettagliata e aderente alle situazioni che man mano emergevano mi ha portato alla redazione, progressivamente maturata in più anni, di un nuovo programma, intitolato “Programma, di sinistra (ma per tutti)”, pubblicato, anch’esso, nel blog. Questo programma procede sulle linee essenziali, i valori e la cultura già espressi nel libro di cui sopra, ma affronta in termini più specifici sia le emergenze che i provvedimenti occorrenti, ispirati principalmente dall’urgenza relativa al problema climatico e alla sostenibilità ambientale, ma anche dalla necessità di giustizia sociale per tutti i popoli e tutte le persone, dall’importanza della conoscenza come aiuto alla politica nelle scelte da adottare, dalla necessità che, in campo internazionale, si accetti di adottare le cessioni di sovranità necessarie per risolvere problemi ormai di rilevanza e connessione mondiale.
Anche questo programma è rivolto alla società civile e si offre come guida per realizzare un movimento di rilevanza globale, capace, finalmente, di condizionare e aiutare la politica ad emanare i provvedimenti occorrenti per salvare l’umanità della Terra da una sua prematura estinzione e realizzare un mondo vivibile e migliore per tutti.
L’intervenuto esito assolutamente negativo di Cop26 mi ha indotto a prevedere un messaggio urgente da inviare alla società civile. Il messaggio è denominato “ Intervenga la società civile!”, ed è pubblicato, anch’esso, nel blog di cui sopra. Ha il compito di presentare il nuovo “Programma” e indurre la società ad adottarlo, per realizzare la struttura associativa necessaria e quindi intervenire efficacemente con la collaborazione attiva nei confronti della politica.
Avevo, naturalmente, assegnato a me il compito di pubblicizzare questo messaggio, ma ho poi avvertito una nuova emergenza, data dai conflitti che si sono scatenati tra i nostri partiti politici. Conflitti essenzialmente sorti in ragione delle prossime elezioni del Presidente della Repubblica, e tali dal determinare il rischio di immediata crisi e nuove elezioni politiche, di esito certamente disastroso per la nostra economia. E, riflettendo sugli eventi vissuti nei miei 87 anni di vita, ho ritenuto aperta la possibilità, e forse anche il diritto, a concedermi l’aspirazione ad una nuova esperienza, come Presidente della Repubblica. Ipotesi da offrire, per la possibilità che essa si renda accettabile per ognuno degli interessi oggi in conflitto e quindi utile al superamento del rischio che oggi i nostri politici hanno posto in atto. E rilevo che, inoltre, la contemporanea comunicazione da dare alla società civile per il movimento da avviare, potrebbe trovare conoscenza e giovamento anche dalla mia nuova iniziativa. Perciò, per tutti coloro che, per una ragione o l’altra, hanno interesse a conoscermi, ho redatto, e vado a pubblicare nel blog, questa mia auto biografia, denominata “Nei miei 87 anni”.
Il seguito della mia vita è, ora, affidato anche a Voi. Roma, 08/01/2022.
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